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N. CUNEO NEL SUO UTILISSIMO VOLUME SULL'EMIGRAZIONE ITALIANA IN ARGENTINA NEL XIX SECOLO, TRA LE P. 184 E 185 DEL LAVORO, INSERI' LA RIPRODUZIONE DI QUESTO RITRATTO DELL'EROE DEI DUE MONDI INSERENDO LA SEGUENTE DIDASCALIA: "BETTINOTTI: GIUSEPPE GARIBALDI NEL 1842. PRIMO RITRATTO CHE SI CONOSCA DELL'EROE; CONSERVATO NEL CIVICO MUSEO DEL RISORGIMENTO DI GENOVA".
L'AUTORE DEDICO' MOLTE PAGINE ALLE GESTA DEL GARIBALDI "GIOVANE" ED "AMERICANO" QUELLO CHE COMBATTE' PER I SEPARATISTI DEL "RIO GRANDE DO SUL" E SUCCESSIVAMENTE PARTECIPO' ALLA GUERRA CIVILE IN URUGUAY DANDO PROVA DI NOTEVOLI CAPACITA' MILITARI














E' ormai assodato che Genova e la Liguria hanno anticipate le scelte della grande emigrazione, di quella transoceanica tanto per intendersi, quella più propriamente volta alle Americhe: un processo gradualmente asceso a dimensioni numeriche da vertigine, in particolare all'epoca del suo apice, da collocarsi nell'ultimo ventennio dell'Ottocento.
Quando avvenne tutto questo, quando insicure maree d'emigranti italiani presero a concentrarsi sui moli dei grandi porti, molti Liguri in effetti avevano già scritta la loro storia quali "viandanti della speranza".
Documenti spesso mal redatti, e riesumati da faticate investigazioni statistiche, ci rammentano che tra il 1833 e il 1850 erano già partiti dallo scalo di Genova 13700 individui.
Si trattava di una corposa avvisaglia del più grande fenomeno a venire: ma siffatta avanguardia contava soprattutto emigranti d'area ligustica o comunque, appena più estesamente, di contesto geopolitico sabaudo.
Il fallimento dei moti risorgimentali del 1821 e del '31 aveva demotivato qualsiasi positivo giudizio sull'affidabilità dello Stato Sardo, quello che per i deliberati della Restaurazione viennese aveva ingoiato, senza però rinvigorlo nè miglioralo dal profilo socio-economico, il languido Dominio di Genova.
Sotto la pioggia sporca, fra le banchine e la darsena, in giornate quasi impossibili, capitava talora di scorgere alcuni inconsueti viandanti: tra costoro qualcuno si muoveva addirittura a scatti, quasi mascherasse con fatica impensabili paure.
Il cattivo tempo ed il crepuscolo parevano, poi di colpo e sorprendentemente, risvegliare tutti questi personaggi, facendoli quasi sempre muovere verso imbarcazioni dai contorni indistinti, come sospese in quell'umido che in certe giornate pare scivolare tra cielo, mare e terra: a giudizio di osservatori inesperti si sarebbero detti pellegrini in ansia per qualche viaggio, intimoriti da tutto quanto li circondasse, in particolare dalle poco fantasiose dicerie sulla "morte color turchino", così spesso si nominava il colera, il male nuovo ed oscuro giunto in Liguria dalla francese Marsiglia.
Ma quegli uomini non temevano il contagio, od almeno non temevano solo quello: sapevano piuttosto di dover sfuggire gli sguardi inquietanti, le domande che non ammettevano omertà, i controlli a tappeto che ormai serpeggiavano per tutto lo Stato.
Ai liberali ed ai mazziniani, ai cospiratori che avevano tentato improbabili insurrezioni, era d'obbligo evitare la zelante polizia del Regno: a gran parte di loro era ben noto che, nell'Europa codina della Società delle Nazioni, sarebbe stato impossibile evitare l'arresto e la pena, prima o poi.
Unica possibile risorsa risultava il dileguarsi verso orizzonti indefiniti, sparire in quelle terre americane dove, forse, era possibile mascherare un'identità o costruirsene un'altra, per continuare a cospirare od iniziare a vivere...l'alternativa sotto certi aspetti era addirittura irrilevante...
...non si imbarcò da Genova, ne era anzi fuggito per raggiungere Marsiglia...si poteva anche affrontare la "morte color turchino" per le proprie idee: per mare avrebbe poi raggiunto Costantinopoli e dalla Sublime Porta sarebbe risalito verso Nord, a Odessa. Da lì, seguita altra via rispetto ai compagni di Genova, si sarebbe comunque recato in Brasile, a Rio de Janeiro.
Era un nizzardo intelligente e robusto, figlio d'un capitano di tartana: per certi aspetti si sarebbe potuto definire un sabaudo marchiato dalla salsedine ligure e dagli usi del mare.
Aveva imparato presto ad amare, con il liberalismo, il pensiero di Mazzini: e per questo, preso il nome di battaglia di Cleombroto, si era arruolato giovanissimo nella Marina Militare intendendo giovare alla causa repubblicana.
Ma nel 1834, quando aveva partecipato attivamente ad azioni cospirative, si era visto crollare, tutte intorno, speranze da tempo giudicate ben riposte: la spedizione nella Savoia ideata da Mazzini era invece poveramente fallita e Garibaldi, il nizzardo, s'era trovato nella necessità di prendere la via dell'esilio, inseguito dalla condanna a morte comminata ai contumaci.
Quest'emigrante politico, che forse non riusciva nemmeno ad immaginare la portata del suo futuro, una volta sbarcato a Rio de Janeiro s'era messo sulle tracce dei suoi compagni, quelli che in gran parte eran fuggiti da Genova.
Non impiegò troppo tempo a trovarne le tracce...della colonia mazziniana capeggiata da Giovanni Battista Cuneo si parlava del resto apertamente nella città brasiliana.
Presso l'Archivio di Stato di Latina (Governo di Cori, serie VII, Atti di polizia, b. 222, fasc.16920, n.6/2) si custodisce un elenco, redatto il 17 novembre 1838, dal vice legato di polizia in Velletri: l'elenco riportava i nomi di "alcuni Individui addetti alla società così detta la Giovane Italia in Rio de Janeiro".
"Capo della congrega" era giustamente giudicato il genovese "Gio Batta Cunto" (sic! per Cuneo, sic! per "genovese": era nato ad Oneglia) e con lui venivano registrati il "Panettiere" napoletano "Massaro Orazio", il "Parrucchiere" genovese "Cris Giacomo", il genovese "Vagabondo... Rossetti Luigi", l'ex militare nativo di Genova "Raimondi Vincenzo", gli "scrittori" livornesi "Laodo Michele" e "Corridi".
Le spie (gli emigranti-patrioti si erano dunque illusi di poter sfuggire, oltre oceano, alle polizie dell'Antico Regime) si erano macchiati di qualche imprecisione: qualche errore nell'onomastica, soprattutto, l'avevano commesso, probabilmente si erano anche imposti di calcare la mano sulla presunta cattiva reputazione dei personaggi in questione, ma, tutto sommato, il loro lavoro finale risultava soddisfacente...anche nel riprodurre notazioni particolari per ogni singolo individuo.
Del "nizzardo...Garibaldi" (al nome stranamente non s'era giunti) fu scritto: "Trovasi a Buenos-Aires comandava la barca pirata il Mazzini fu ferito da un Bastimento da Guerra che gli dava la caccia".
Garibaldi, a differenza d'altri "emigranti politici", non si era dunque provvisto di nuove generalità e tantomeno aveva rinunciato ai suoi ideali.
Le spie, come scritto, furono sostanzialmente corrette ma le esigenze di sintesi, con la sostanziale faziosità di giudizio, potrebbero fuorviare l'interpretazione.
Riunitosi ai vecchi compagni, pur nel mezzo di qualche reciproca contestazione ideologica, Garibaldi cercò di conciliare, come tutti gli altri, la militanza politica con le esigenze della vita.
Per questo si fece mercante e, usando un'imbarcazione originariamente destinata alla pesca, ottenne anche dei successi commerciali.
Durante anni silenziosi, quelli in cui s'attende invano qualcosa, talora qualsiasi cosa, può capitare che la militanza decada in logorroica, salottiera abitudine: è un evento non raro, che ha coinvolto e tuttora coinvolge coscienze anche risolute.
Una relativa prosperità si coniuga peraltro assai spesso con quella noia comportamentale che si sublima, al negativo certamente, in inettitudine, e quindi in incapacità d'agire e scegliere.
Ed in fondo, per quanto discutibile e discussa, simile postulazione può venire in qualche modo giustificata: specie da chi ha dovuto celarsi, con reiterata angoscia, fra le ombre, al fine di farsi dimenticare.
Ma all'antico Cleombroto, al nizzardo dallo spirito combattivo, tutto ciò non accadde...oblio ed ignavia non costituivano una soluzione in linea con gli estri del carattere, neppure di quello del padre in verità, uomo pugnace quant'altri nel far valere le ragioni del diritto...e in ciò primo maestro di giustezza per tal figlio.
Così, quando il Rio Grande Do Sul, una provincia meridionale, si "pronunciò" nel 1835, ribellandosi alle feroci angherie dell'Impero brasiliano cui apparteneva, Garibaldi, memore delle sue antiche vicissitudini di patriota e di esule diede subito il proprio appoggio ai ribelli e, ottenuta una "Patente di Corsa", cioè una legittima autorizzazione a far guerra per mare a vantaggio d'uno dei contendenti, prese a combattere per essi con la nave Mazzini.
Gli eventi parvero aggredire il futuro "Eroe dei due Mondi": conobbe successi e miserie, catturato e carcerato a Gualeguay, si difese "sputando in faccia", come dettava una stampa dell'epoca, al suo aguzzino, il feroce comandante Leonardo Millan che s'accingeva a torturarlo.
Salvarsi da queste situazioni estreme, saper reagire e magari segnare con le proprie gesta la vittoria, momentanea eppur solida, della fazione cui si è aderito basterebbe a molti...si tratterebbe comunque d'un complesso d'azioni bastanti, anche singolarmente, sia a giustificare l'esser nati che a far apprezzare la giustezza d'una qualsiasi tregua: ma vi sono esistenze che, per scelta o, forse, destino, non conosceranno mai l'operosità della quiete e questo, tanto nel male che nel bene, fu il destino ineluttabile del Garibaldi "americano", ancor prima che del Garibaldi "italiano" ed "europeo".
Poco dopo quegli eventi venne infatti coinvolto, era il 1841, nella GUERRA CIVILE DELL'URUGUAY di Oribe contro Rivera, un conflitto che finì col prendere un po' la mano a tutti, al segno che si arrivò a combattere addirittura entro i confini dell'Argentina: però a Buenos Aires e La Plata s'erano rifugiati altri patrioti italiani, vi si era portato anche G. B. Cuneo a far proseliti di idee ed a provocare l'immobilismo dei troppi con la sua militanza giornalistica. Garibaldi provò forse vergogna all'idea stessa di rimanere inerte: sul mare riprese quindi subito le sue gesta pur dovendo spesso impegnarsi in attracchi avventurosi e in dure fughe per terra. Durante l'assedio di MONTEVIDEO (1842) egli fornì prova straordinaria delle sue capacità capeggiando la "Legione Italiana" e l'eco di siffatte gesta raggiunsero l' Italia: in particolare la gran vittoria di Sant'Antonio del dicembre 1846 lo consacrò alla pubblica opinione quale stratega oltre che, ma nessuno già ne dubitava, come inarrendevole soldato.
Gli si aprì di conseguenza la mai forse immaginata via del ritorno: e del resto in Italia, ove i progressi democratici si erano evidenziati sin alla concessione degli "Statuti", la situazione pareva ormai matura per l'affermazione di molte fra le idee che giovane e vanamente speranzoso aveva vagheggiato tanti anni prima.
La realtà fu al contrario deludente…e questa volta non per le debolezze degli uomini. Carlo Alberto tenne fede alla parola, si battè con orgoglio ma fu sopraffatto dall'Austria: dopo le speranze iniziali la prima guerra d'indipendenza risultò perduta.
Garibaldi consumò i suoi ultimi sogni, come altri patrioti, al pari di altri liguri d'ingegno tra cui Goffredo Mameli, nell'impossibile impresa della Repubblica Romana.
Fu ancora una sconfitta, onusta di gloria certo, ma sempre una sconfitta e dopo questa venne la fuga disperata sin nelle campagne di Ravenna, con Anita, la moglie, morente.
Ebbe bisogno di fortuna ed aiuti per rifugiarsi in Liguria e, dopo l'arresto reso necessario al Piemonte di Vittorio Emanuele II anche per l'intrinseca debolezza, intravide lo spiraglio che schiudeva nuovi orizzonti ed altrettante speranze.
E così, dopo l'agognata espulsione che gli inibiva la carcerazione e quindi l'odiata inanità, Garibaldi fu ancora mare, navigazione tormentata, ed accoglienze gelide, dapprima verso Tunisi, poi a Gibilterra ed ancora fin allo scalo di Tangeri.
E qui, dopo sei mesi di relativa inerzia, maturò in lui la decisione d'una seconda migrazione transoceanica, questa volta verso il Nord America, negli U.S.A.: raggiunse Liverpool e dal porto inglese arrivò quindi, come altri emigranti, al grande scalo di New York…era di loro più fortunato perché in una borsa ben custodita teneva le sovvenzioni nascostamente ricevute dal governo sabaudo, vinto sì ma non ingrato!
E mentre ai tempi del primo sbarco in America, a Rio de Janeiro, si era subito immerso nell'agone politico, qui, nei già industriosi Stati Uniti, quietamente seppe condividere le sorti di tanti compatrioti già emigrati: e lavorò, prudentemente anonimo, nella fabbrica di candele d'un altro grande italiano, Antonio Meucci.
Ma poi l'assalì la nostalgia del mare, la frenesia antica di vivere nuove esperienze ed assunse il comando di due vascelli, il "George" e la "Carmen": con essi si recò a mercanteggiare in terre lontanissime, dal Perù alla Cina, sin a quando, tornato a Boston e raggiunto ancora il porto di New York, ebbe, chiara, la percezione di poter rientrare davvero, questa volta, in un'Italia sempre più pervasa di istanze unitarie ed antiaustriache…
Quasi certamente avrebbe dovuto abbandonare le utopie mazziniane e collegarsi con la praticità diplomatica ed organizzativa di Cavour, gran mentore del Regno Sardo e di Vittorio Emanuele II ormai di nuovo forte: ma in fondo era un prezzo che si poteva pagare, per realizzare gli antichi ideali ed anche un po' per risanare vecchie ferite del cuore…
E quel prezzo che pagò gli rese poi centuplicati i suoi frutti, per esso egli si aprì davvero la strada verso l'immortalità.
Una storia lunga lo aspettava trepidante in Europa, una storia finalmente intarsiata di gloria: era finito per lui il tempo dell'emigrazione…chissà se si voltò mai, sulla nave che lo riportava in Europa, a guardare quelle darsene di New York, che mai più avrebbe viste!
Ma questa è una domanda retorica…e del resto tutta la storia che seguì fu, in fondo un'altra storia, non avrebbe più avuto a che fare con le vicende e le memorie dell'emigrante Nizzardo di tanti anni prima!