NELL'IMMAGINE ANTIQUARIA UN GRUPPO DI GAUCHOS ESPRESSIONE DELLA CIVILTA' RURALE E PROVINCIALE: CLICCA QUI E VEDI IL PARTICOLARE DI UN GAUCHO
Astrazioni e simbologie d'Argentina: quando epica e mito diventano storia:
La milonga, il tango...la leggenda dei gringos genovesi: dalle domande di Gardel all' enigma di Borges
Erano di Buenos Aires, del quartiere della Boca...sulle labbra mal declinavano lo spagnolo povero degli ignoranti, che si imparava al porto, e molto spesso anche questo, incespicando contro qualche impronunciabile parola, finiva con lo spegnersi del tutto entro la cadenzata gergalità d'una bestemmia...una qualsiasi parolaccia, magari sputata fra i denti, ma di un'altra lingua, una lingua ancora più antica dello spagnolo.
Avevano baffi curati.. questo sì, ma i polsini delle camicie, per quanto ben rigirati, erano lisi e sempre unti di sudore...sembravano o forse volevano sembrare gauchos di città: alcuni di loro osavano, ma senza successo, parodiare qualche bulletto di quartiere, forse lo sgherro del primo compadrito conosciuto...
Non erano spagnoli e tantomeno nativi: a qualcuno, soprattutto alle poche dame che ritornavano dal Vespro, pareva addirittura che avessero occhi feroci, da tigri in caccia...e invece loro neppure avevano mai visto una tigre, anzi i più nemmeno sapevano cosa fosse la pampa, dove la tigre qualche volta arrivava ancora ad assalire le bestie...per loro la pampa era nulla più che un deserto...e forse di questo, nemmeno, sapevano gran cose.
Se qualcuno fosse stato più attento, se meglio avesse guardato quegli stranieri, senza abbassare gli occhi appena si fossero messi a parlare tra loro, gesticolando poco in verità, e comunque meno d'ogni altro gringo...ebbene, chiunque avesse fatto ciò, sarebbe riuscito a scovare in quei volti, da giovani invecchiati troppo in fretta, il marchio delle rughe salmastre, quelle che si porta dietro chi è stato sempre al mare, tra il sole, che sembra bruciare solo i poveracci, ed un vento che prosciuga, talora tanto freddo da gelare il cuore, come la lama ghiaccia della spada.
Ma nessuno li guardava davvero: passavano come il tempo, al modo che da sempre passano le inevitabilità, gli avvoltoi, le dannazioni o, se vogliamo, le feste comandate che compaiono e si rinnovano, senza mai essere le stesse.
Per tutti erano gringos...gente da evitare, soprattutto per chi fosse nativo e criollo.
Dopo il crepuscolo, mentre ombre serotine si intrecciavano, in un certo modo complici di furtività, sul risvolto di strade, che a malapena parevano sentieri, quei finti gauchos si perdevano spesso contro il frontale della cattedrale, così imponente e in qualche modo irreale tra casette di fango o poco più...ma non andavano mai a pregare.
Si fermavano di frequente sul ciglio, tra la polvere sollevata dal cavallo di qualche estanciero: a lungo stavano a fissare, come catturate falene, la luce, la luce del postribolo...e pensavano quasi tutti solo alle donne, alle donne dalla pelle liscia e magari profumata, femmine, forse anche da signori, ma non impossibili da avere entro i labirinti sempre leciti di un momentaneo, consolatorio, eccitante esercizio di fantaerotismo.
Per anni quel rituale si ripetè, anni fatti di niente o forse di tutte le cose che rendono vita quella che è mera sopravvivenza: anni comunque rivissuti sempre uguali, forse per i capricci di un dio pagano e mal dimenticato nella quiete di qualche recinto sacro…anni circolari comunque.
Poi la vita del lupanare cambiò e le invecchiate puttane che a quei gringos parevano donne di lusso piegarono la propria indolenza a qualche novità…dovettero farlo, probabilmente, al fine di sopravvivere e competere coi bordelli più eleganti, che crescevano contro ogni decenza, a parere di puritani e conservatori.
Un crepuscolo o forse una notte più stellata delle altre il canto cessò, quel canto che sempre, col buio, scivolava fuori del postribolo iniziò, come al solito, ma subito smise, di colpo secondo il giudizio dei più…qualcuno gettò forse la chitarra per stendersi con la bella di turno o la frantumò onde iniziare il rituale sempre uguale del duello, il che poi è la stessa cosa: vita e morte, sesso, amore e litigiosità sono conviventi assai poco oziosi nelle stanze di qualsiasi bordello, s'infiammano e all'infinito permutano le loro categorie.
La milonga come canto fu assassinata a metà dell'Ottocento; sarebbe rinata quale danza e il passo milonguero sarebbe diventato il più celebre dei passi plebei…nei locali infami, che prima eran solo postriboli, i milongueros sarebbero andati a far mostra di sé, non a fare, ma a simulare la lotta col pugnale e l'amore, quello da sudare in fretta, da consumare alla svelta e pienamente, temendo che, sospettoso per esosa e sconcia premura, qualche ruffiano li sorprendesse, assieme alla bella, oltre il tempo pagato e li lasciasse col respiro affannoso e gli occhi vanamente tremanti…
Il tempo circolare non aveva comunque permesso che le cose cambiassero troppo…v'erano sempre i gringos che volevano sembrar compadriti o gauchi di città…con occhi affamati fissavano i danzanti, che s'avvinghiavano emulando, col ritmo, i gesti della vita e quelli della morte.
I gringos stavano all'interno del locale ora, tra i fumi del tabacco e d'altro, nella nebbia irreale, fatta quasi sempre di sudore, che s'alzava dai tavoli più affollati…
Si danzava anche quel giorno -la data non fu mai scritta, gli appunti derivano dalla memoria di gente che adesso è senza nome e in vero anche senza tomba- ma questa volta un gringo, che come tanti suoi pari continuava a violare lo spagnolo coi prestiti d'una lingua più antica e straniera, fece quello che altri mai avrebbero osato: s'alzò a simulare quei passi, proibiti per quelli come lui...
… fu allora che tutto quanto implose, rovesciandosi come capita al guanto della sfida lanciato da chi si pensa offeso...fu proprio in quel momento, un momento comunque sottratto ad ogni cronologia, che il tempo circolare implose, curvandosi sulle proprie ovvietà, smettendo di replicare e perpetuare le identità !
Si diffuse la percezione esatta quanto elementare -cosa del resto scontata fra tanti individui elementari- che la gestualità del gringo fosse stata in effetti un poi senza un prima, un'azione carente di presupposti, orfana di plausibili pronostici, uno di quei gesti che, sfidando la supposta intangibilità delle cose, ha la potenza d'annullare tutto ciò che fu, nell'attesa di una novità assoluta...da accettare o da multare, anche con qualcosa di simile al rogo ma giammai da eludere.
Tanta fu la concentrazione verso quell'azione, novatrice e spregiudicata, che dentro d'essa parve annichilirsi ogni possibile alternativa proposta dal tempo circolare…alcuni ebbero addirittura l'impressione -confessata di nascosto e solo a preti fidati, per uguale tema di stregoneschi inganni e d'alchimie inquisitoriali- che ogni gesto si andasse vieppiù arrestando, al segno che tutte le facoltà di movimento risultassero finalmente congelate entro l'istantaneità e l'immutabilità d'una sorta d'arabesco: così la servetta di taverna rimase sospesa nell'atto di versare del vino di mezza tacca, un giocatore di carte restò immobile e mai più calò sul tavolo l' attesa carta vincente ed ancora una sgualdrinella da una manciata di pesos si trasmutò in una figurina ridicola entro la poca luce del locale, un'immaginetta patetica, indecisa se lanciare o meno, ad un avventore grasso e untuoso ma perlomeno interessato, un bacio accattivante, sfacciatamente formulato con labbra vistose, di rosso fuoco…
Il tempo circolare cercò di sopravvivere autogiustificandosi: ma in realtà si rifugiò nell'unica illusione che gli restava, trasformare ogni cosa in durata, rimandare al limite estremo qualsiasi possibile reazione all'unica vera azione compiuta in quella notte...appunto la scelta fatta dal gringo di ballare quella milonga contro ogni convenzione storica.
E peraltro quel gringo non mostrava ripensamenti, ballava, anche se nessuna musica più giungeva dagli strumenti, anche se gli altri ballerini lo fissavano senza saper scegliere cosa fare…
Fu una donna a decidere, come nel mito, biblico e non…
Spesso le donne decidono per tutti, scegliendo d'istinto sulla linea di indefinibili destini e la loro scelta può esorcizzare sia l'epopea che la tragedia: in questo caso quella donnesca reattività emozionale, che solo gli animi meschinamente misogini definiscono uterina, sanzionò, decidendo, la fine di quel tempo circolare, di quell'era ciclica ormai invecchiata che, inibendo agli uni di ballare al pari d' altri, trasformava il diritto di pochi in schiavitù per molti, alla fine rendendo tutti meno uguali di quanto avrebbero potuto essere.
Quella donna, nemmeno più tanto giovane, decidendo sancì l'universalità semiepica del passo plebeo, della danza popolare che riporta tutti quanti all'identica dimensione di uomini...anche se guappi, anche se gauchos di città, pur se gringos d'oltremare o puttane ai margini della storia...proprio loro avrebbero insegnato ai sapienti, a quelli ancora bendati, entro case a fortilizio, dalla ingiustificata e razzista ripetitività di luoghi comuni e stupidi.
Si lasciò prendere per mano e si fece trasportare nella milonga da quel gringo cui sorrise, civettuola ma sincera, con gli occhi ancor prima che con la bocca, mentre altri, furtivamente e abbassando lo sguardo, rideposero i pugnali estratti dai foderi…
L'aoristico puntuale del verbo è qui necessario, come una sanzione epocale d' una decisione presa in rapporto all'eternità…i due, prima stranieri, ballarono ed altri poi danzarono con loro, ed alla fine non furono più, reciprocamente, stranieri.
I gringos d'oltre Oceano, quelli di Genoa o Genova, che altri chiamavano Liguri ed altri ancora Italiani, quelli che al governo piacevano perché lavoravano come muli e sapevano farlo ma che non sempre piacevano ai criollos, forse risolsero l'enigma che Borges postulò molto, molto più tardi, senza sapere ch'era stato sciolto.
Il passo plebeo della milonga coinvolse presto il passo celermente ritmico del tango-milonga e queste forme di danza diventarono leggenda metropolitana, reiteratamente vivificata dalla sanzione pubblica del ballo quale fenomeno di civiltà in divenire.
In siffatta costante scenografica, nell' assolutezza eidetica di milonga e tango eletti a sistemi di pensiero in quanto forme di vita, si raggiunse forse la vera, e da Borges vanamente cercata, simbologia del compadrito, o comunque del guappo parteno abitante dei sobborghi e della periferia metropolitana, assolutamente giustapposta alla più ufficiale perché letteraria, ma non più intensamente espressa, iconografia del gaucho della pampa quella esorcizzata al positivo dal Martin Fierro di Hernandez od evocata al negativo da Sarmiento nel Facundo…
Fece ammenda il veggente cieco…Borges compianse in seguito le sue vecchie eresie nazionalistiche avverso le mutazioni del tango primordiale e castamente osceno, quel tango criollo che in qualche modo egli disse d'aver colpevolmente ritenuto degenerato per colpa dei gringos italiani e più specificatamente dei gringos genovesi del quartiere della Boca.
Ma le argomentazioni ereticali talora nascondono la migliore proposizione di qualche dimenticata ortodossia: il tango, anche il grande Gardel lo lasciò intuire, nella seconda metà del XIX secolo effettivamente fu astratto dal provincialismo, e magari da una certa selvatica bellezza, proprio in forza o per coraggio, molteplici sono i punti di vista, di quegli emigrati genovesi della Boca che scelsero, rischiando, di competere con guappi e compadriti.
E così tango e milonga, dapprima espressioni dell'arte gestuale e musicale di parte d' un popolo, divennero in seguito i traccianti, artisticamente esteriorizzati ,di un iperfenomeno di universale matrice popolare e cittadina: come cambiarono l'essenza di tali danze -in bene o in male questo può esser relativizzato in base ai lati d'osservazione- i gringos liguri, e dopo di loro altri gringos più genericamente italiani , avrebbero ineluttabilmente permutato ulteriori aspetti della cultura cittadina argentina e rioplatense, una cultura ed una civiltà su cui decenni di immigrazioni, di lotte, di cadute e di successi finirono per incidere il marchio dell'italianità seppur in sinergia, o se vogliamo in sintesi dialettica, con storicizzate postulazioni dell'autonoma e in qualche maniera autoctona qualità criolla d' elaborazione fantastica e d'articolata strutturazione socio-culturale.