In netto contrasto con le splendide abitazioni signorili la maggioranza del popolo romano alloggiava in grandi casamenti a più piani che sorgevano nei quartieri popolari.
Le insulae erano sorte nel IV sec. a.C. dall'esigenza di offrire alloggio, entro il ristretto territorio dell'Vrbs, ad una popolazione minuta in continuo aumento.
Nel periodo imperiale queste costruzioni superavano il sesto piano di altezza, come la famosa insula Felicles che si elevava su Roma alla stregua di un grattacielo.
Logicamente esistono dati molto più abbondanti sulle "insulae" di Roma (ad esempio le case condominiali in Ventimiglia romana non dovevano raggiungere nè le loro dimensioni né la loro vertiginosa altezza) ostruite spesso da imprenditori privi di scrupoli che utilizzavano materiali scadenti, amministrate da proprietari che miravano ad ottenere il massimo profitto da affitti esagerati, le insulae erano spesso preda di incendi e i continui crolli che minacciavano la sicurezza dei cittadini indussero l'imperatore Augusto a proibire ai privati di elevare costruzioni sopra i 70 piedi (21 m. circa).
Le "insulae" avevano una pianta di circa 300 mq, ma con tali sviluppi verticali sarebbero stati necessari almeno 800 mq di base che assicurassero stabilità all'edificio.
Se si aggiunge che per i muri maestri la legge non richiedeva uno spessore superiore a 45 cm, si può capire che il primo incubo di un inquilino era vedersi crollare la casa addosso.