" Studio frammentario non può che essere in merito ai tanti   ordinamenti   della penisola attesa tanta distinzione   tra realtà ambientali, politiche, culturali. Onde reagire a queste differenze    i    governi    della    Restaurazione si sforzarono di conferire  un  nesso  unitario  a tali vicende, indispensabili per individuare se la  Restaurazione  abbia  rappresentato  un processo continuativo  di  codificazione  nazionale  oppure  si  sia  presentata quale  una  battuta  di  arresto. 
Siffatta possibile continuità veniva dal Codice francese: nei nuovamente frammentati Stati   italiani, prescindendo dal tempo relativamente breve della sua "vita",   il Codice  napoleonico,  nella forma  abrogato in dipendenza dei deliberati  viennesi,  fu nella sostanza  destinato  a ben più lunga  influenza  dapprima sui   codici   civili   della   Restaurazione e poi sul Codice civile italiano del 1865, 
dal  quale  in  molte  parti  dipende  ancora  quello  del  1942,  tuttora vigente.Vediamo più da vicino le singole realtà
Nel caso, che è oggetto di questa indagine, vale a dire quello del Regno di Sardegna (terzo a provvedersi di un codice dopo il Regno delle due Sicilie e il Ducato di Parma e Piacenza) trascorsero oltre venti anni  dal  Congresso  di Vienna    affinché   un’altra    monarchia    assoluta     della    penisola  recuperasse la strada  della  codificazione. In origine il  Regno  di Sardegna aveva    dato prova di un formidabi conservatorismo  dopo il crollo di Napoleone, abrogando  tutta la  legislazione  francese   operante   in Piemonte in seguito all’annessione all’impero napoleonico: quasi subito furono  ripristinate   le   obsolete   fonti   giuridiche subalpine  vale a dire la  legislazione  regia,  gli  statuti  locali,  le  sentenze  e  il  diritto comune.  
Le cose mutarono con la salita  al trono di Carlo Alberto, nel ’31, e seppur lentamente si propose una codificazione autonoma per  il regno:  nel 1837 compare il Codice civile cui succede nel 1839 il penale, poi nel  ’42  il  commerciale,  nel  ’47  il  Codice  di  procedura penale e finalmente nel ’54 quello di procedura civile. 
Nella redazione  del Codice civile il legislatore si era palesemente ispirato  all’esperienza  codicistica  napoleonica  ed ai modelli  italiani  già  entrati  in  vigore  negli  altri  Stati  preunitari.  
Trascorsero   sei   anni   perchè si giungesse  alla   sua pubblicazione palesandosi  una sostanziale postazione  di  insicurezza  sulle soluzioni  normative  da  adottare.  Tuttavia in forza del volere di Carlo  Alberto  e  in virtù del supporto  di  un  gruppo  di  politici  moderati che il Codice vide la luce. Non erano nè sono uniformi i  giudizi  sul  codice  civile  albertino da alcuni reputato inferiore agli altri codici preunitari rispecchiandosi nel suo contesto le contraddizioni di  una  classe  dirigente  insicura nell' adeguare, dopo  un  ventennio  politico  conservatore,  le  istituzioni  alla  realtà dei  tempi.  Altri, all'opposto, sostennero e sostengono che  tra le sue pagine spiccano  innovazioni  talora  di  grande  rilevanza.  
Con altri meriti, ferma restando come ovunque nei potentati italiani l'abrogazione rispetto al Codice Napoleonico del tema del divorzio e del matrimonio civile, si segnalano tra le sue qualità l’avanguardia  nel riconoscere   la   proprietà   sui   beni   immateriali   e  soprattutto il suo risultare  innovativo  in tema  di  servitù  prediali  e  di  disciplina  delle  acque,  divenendo infine  un  modello daseguire culminato con la promulgazione dei codici del 1865 " (REGNI e CODICI PREUNITARI: testo on line http://www00.unibg.it/dati/corsi/65018/48246-codicipreunitari%5B1%5D.pdf).
Inf. B. Durante (testo da raccolta privata)
 
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