Informatizz. a c. B. Durante

ATTESTATO DI MORTE DI "SARA COPIO SULLAM" ( 15 FEBBRAIO 1642 ) NEL REGISTRO "NECROLOGIO DEGLI EBREI" DEL MAGISTRATO DEI PROVVEDITORI ALLA SANITA' IN "ARCHIVIO DI STATO DI VENEZIA" .











Angelico Aprosio, non era direttamente entrato nella disputa tra la Sullam ed il Bonifacio, anche se è facile intendere dal suo stesso repertorio bibliografico per chi parteggiasse.
Il frate intemelio in effetti su Sara Copio Sullam scrisse più di quanto appare dall'analisi delle sue opere.
L'erudito suo corrispondente Prospero Mandosio stava finalizzando la propria ponderosa opera Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae ed aveva esigenza di raccogliere notizie su Numidio Paluzzi, sorta di avventuriero e letterato morto da mezzo secolo ma conosciuto da Aprosio anche perché intrecciato con le vicende esistenziali e culturali della Sara Copio Sullam.
Aprosio fu, come al solito, prodigo di notizie ma fornì una versione forse non del tutto veritiera:
Tra altre cose l'erudito intemelio scrisse al Mandosio:
"Già che dalla sua humanissima lettera posso accorgermi che non le riescono disaggradevoli le mie notizie, e che tra le mandate il nome di Numidio Paluzzi le sia stato nuovo, m'accingo a proseguirle, e da questo comincio il mio racconto. Questi, ricco più de' doni della natura che de' beni di fortuna (...) abbandonata la Patria, pensò di mutar paese, stimando fuor di Roma di ritrovare più benigno il Cielo (...). S'accompagnò seco Alessandro Berardelli pure romano, pittore, e scorse le città più celebri della Toscana e dell'Emilia fermarono il piede in Venetia, ove la fortuna non gli andava scarsa de' suoi favori, che non gli sarebbero venuti meno se egli se ne fosse saputo servire. Si ritrovava nel Ghetto di quella città Simone Copia, ricco sopra gli altri hebrei. Questi da Ricca sua moglie hebbe prole del genere femminino, cioè due figluole, Sarra e Stella, amendue spiritose; ma più Sarra, che si dilettava di leggere libri di poesie e d'altre materie curiose. Il genitore per darle gusto si contentò si aprisse nella sua casa un'Accademia ove concorrevano a gara per sentirla discorrere non pure i vicini, ma anco da Trevigi, da Padova, da Vicenza e luoghi più lontani, i letterati. S'amicò il Paluzzi con quella, che conoscendo non potere corrispondere alle voci della fama che andavano attorno del di lei valore, si conobbe bisognosa d'aiuto. Questi le parve al proposito, per haverlo conosciuto mendico: e con simil gente non ci vuole molta fatica, perché chi si ritrova in pericolo d'annegarsi, s'attaccherebbe ad una spada senza tema di tagliarsi le mani. S'offerì di servirla, ed ella perché non le avesse a mancare non pure gli pagava la pigione della casa, ma anco gli somministrava danaro per potersi provedere di vitto e di vestito, ed in tal copia che gli restava anco moneta per servirsene in altri affari. Nel 1615 Ansaldo Cebà, nobile genovese, diede alle stampe il poema della Esther. Da lì a non molti anni capitò nelle mani di Sarra. Questo Poema cagionò che ella s'invogliasse di farselo amico, e n'hebbe l'intento, come si può vedere in un tomo di lettere, stampate in Genova l'anno 1623, ove si ha contezza de' doni scambievoli fra l'una e l'altro, ed anco de' ritratti. Seguirno ancora sonetti ed altre poetiche produttioni. Toccò al Paluzzi di fare la parte per l'Hebrea, né bisognava stasse otioso. Io che l'ho conosciuta, so non haveva tanto ingegno. Con l'occasione dell'Accademia s'hebbe a discorrere dell'immortalità dell'anima. Parve al Signore Baldassarre Bonifaccio, che dall'Arcidiaconato di Trevigi nel tempo del S.P. Innocenzo X fu alzato alla Mitra di Gisutinopoli, che la Sarra prendesse al credere la mortalità dell'anima: onde diede alle stampre l'anno 1621 il libro intitolato Dell'immortalità dell'anima. Discorso di Baldassarre Bonifaccio. Lo scrisse alla Copia, che piccatasene pubblicò contro di lui (il) Manifesto di Sarra Copa Sulam Hebrea. Nel quale è da lei riprovata, e detestata l'opinione negante l'immortalità dell'Anima, falsamente attribuitale dal Sig. Baldassarre Bonifaccio. Fu stampato a Venezia lo stesso anno. Quello è fogli otto, questo tre, ma piccano così fattamente il Bonifaccio, che haveria voluto esserne stato digiuno. Non però fu farina del sacco della Sarra, ma di quello del Paluzzi che si mascherò da Hebrea".
Per quanto abbastanza ben informato l'Aprosio non doveva aver seguito fino in fondo la polemica che, attarverso ritagli di notizie che provengono dall'antico quanto dal moderno lascia intendere che, se vi fu un mentore intellettuale della Sullam, non fu tanto il Numidio Paluzzi citato dall'Aprosio quanto semmai il grande rabbino Leone Modena, autentica guida spirituale dell'ebrea veneziana.
Eppure Angelico Aprosio, nella lettera al Mandosio, insiste sempre sul Paluzzi giudicandolo non solo aiuto basilare dell'intellettuale ebrea ma, nascostamente certo, suo vero parassita sin dai tempi in cui l'Accademia della Sullam prosperava per le frequentazioni del citato Paluzzi e di Alessandro Berardelli, di Baldassarre Bonifacio, di Gianfranco Corniani, di Giovanni Basadonna e soprattutto di Leone Modena.
Intuita un'ulteriore possibilità di sfruttare la ricchissima ebrea il Paluzzi le avrebbe fatta pervenire una missiva galante di un giovane francese giunto in Venezia soprattutto perché "invitato dalla fama di lei" come narra sempre Angelico. E la Sullam posta di fronte al giovane transalpino, parimenti di bell'aspetto, se ne sarebbe innamorato al segno che il Paluzzi, come racconta sempre il Ventimiglia, "...accortosi dell'amore di quella, pensò d'havere ritrovata la strada d'uccellarla; e fu che, fatta scrivere da un Francese una lettera a nome di quello alla Sarra, non lasciò d'insinuarle i suoi amori, che diceva d'haver tenuti celati, supplicandola di cortese risposta; e che per fargliela avere la rimettesse nelle mani di chi glie l'havesse consegnata, perché in meno di 24 hore glie l'hverebbe con le sue arti fatta capitare a Parigi, delle quali egli pure si era servito. Non fu difficile a falre ciò credere, non lassando gli Hebrei di dar opera e credito all'arte magica".
Scrive il Busetto: "In tal modo il Paluzzi riuscì a truffarla sistematicamente. La macchinazione fu presto sulla bocca di tutti così che la Copio stessa ne fu informata e provvide a denunciare i fatti ai Signori di Notte al criminale, che pare imprigionassero il complice del paluzzi, quel Berardelli romano e pittore che Angelico Aprosio ricorda nella citata lettera. Sara Copi licenziò il Paluzzi il 9 luglio 1624. I due misero allora in giro una satira, la sarredide, oggi irreperibile. Morto il Paluzzi l'anno seguente, il Berardelli pubblicò le Rime del Signor Numidio Paluzzi all'illustrissimo et eccellentissimo Signor Giovanni Soranzo (Venezia, 1626) dove incluse i sonetti dell'Ebrea al Cebà, sostenendo nella dedica che il Paluzzi era l'autore degli scritti della Copio e che ella, dopo aver avvicinato quest'ultimo fingendosi impietosita per il suo stato miserando, gli aveva sottratto sul letto di morte tutti i lavori letterari per pubblicarli col proprio nome. Sulle vicende umane e culturali di Sara cala poi il silenzio, un silenzio forse amaro. Dopo lo squallido episodio narrato, quasi più nulla è noto di Sara Copio Sullam, morta a Venezia il 15 febbraio 1641".
Per un moderno approfondimento vedi anche CARLA BOCCATO, Le "Rime" postume di Numidio Paluzzi: un contributo alla lirica barocca a Venezia nel primo Seicento
La studiosa segnala una raccolta di liriche, pubblicata a Venezia nel secondo decennio del Seicento, esempio significativo della poesia italiana di età barocca, raccolta intitolata "Rime" e di cui fu autore Numidio Paluzzi, poeta e prosatore originario di Roma, attivo nella città lagunare agli inizi del diciassettesimo secolo. L'amico del Paluzzi, Alessandro Berardelli, pittore e uomo di lettere, stampò postume le poesie, non tanto per esaltazione e memoria del sodale, quanto per denigrare la letterata Sara Copio Sullam, sospettata di essersi appropriata a più riprese delle opere del Paluzzi. In realtà, la pubblicazione mirava a rispondere alle infamanti accuse di furto di denaro e oggetti preziosi, mosse dalla poetessa contro i due amici, nonché ad assolvere il Berardelli dal sospetto di aver trafugato egli stesso gli scritti del Paluzzi. Sono altresì dettagliatamente ricostruite dalla studiosa Carla Boccato le vicende legate all'identificazione del dedicatario delle "Rime", Giovanni Soranzo di Lorenzo, e alla irreperibilità del testo nelle biblioteche italiane, presente, forse unico esemplare al mondo, nella Biblioteca Mazarino di Parigi. [LETTERE ITALIANE Anno 2005 - N° 1 gennaio-marzo]