Informatizzaz. a cura di B. E. Durante

COLBERT, JEAN-BAPTISTE (Reims 1619 - Parigi 1683). Politico francese. Nato da una famiglia di grandi mercanti, entrò nel 1645 al servizio del ministro della Guerra Le Tellier e divenne nel 1651 segretario di Mazzarino. Entrato nel 1661 nel consiglio reale, accumulò le cariche di sovrintendente alle costruzioni e manifatture, controllore generale delle finanze, ministro della Casa reale e della Marina. Diede quindi un contributo decisivo al riordino delle finanze pubbliche (recupero di imposte non pagate da parte degli appaltatori, soppressione dei titoli di nobiltà usurpati che comportavano esenzione) e alla buona amministrazione che caratterizzò i primi dieci anni di regno di Luigi XIV. La sua politica economica fu improntata alle idee e alle pratiche mercantiliste (colbertismo), ma cercò anche di sviluppare l'unità economica del regno, facendo costruire dal 1681 il Canal du Midi (dal Mediterraneo all'Atlantico) e rendendo possibile una libera circolazione delle merci nella parte settentrionale della Francia (ma qui le barriere doganali interne restarono in Bretagna, Franca contea e nelle province del Nord). Su sua iniziativa vennero poi create diverse compagnie commerciali monopolistiche (ma nessuna di esse riuscì mai a eguagliare le compagnie inglesi o olandesi), mentre veniva dato un nuovo impulso per la costituzione di basi coloniali (a quelle in Canada e nelle Antille si aggiunsero Madagascar, le isole Bourbon e Pondichérj in India). Condividendo il gusto classicista di Luigi XIV, partecipò alla creazione delle grandi istituzioni culturali della Francia moderna.













Il gran secolo francese.
La pace di Vervins del 1598, in apparenza con­fermava la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, che ai Francesi era sembrata vergognosa. Questa volta la pace fu saluta­ta come una gran vittoria diplomatica "il più vantaggioso trat­tato concluso dalla Francia da cinquant'anni a questa parte". Siffatto giudizio era un segno del timore suscitato in Europa dal regno di Filippo II. A partire da quell'anno la Francia conobbe la ripresa economica e politica, interrotta solo dall'uccisione del re Enrico IV nel 1610. Il segreto della ripre­sa francese consisteva nell'aver rivolto alla rico­struzione le ricchezze dilapidate nel corso della guerra civile.
La Francia rimaneva il paese più popoloso d'Europa, geogra­ficamente il più compatto, rifornito dalla migliore agricoltura, con le migliori possibilità di impostare una politica da gran potenza.
La nobiltà aveva perso la partita politica contro la monarchia assoluta e tutti, ora, volevano un re forte. Luigi XIII non era un gran personaggio, ma ebbe la fortuna di va­lersi della lucida intelligenza del cardinale de Richelieu, la cui ascesa politica cominciò nel 1616 sempre ostacolato dalla regina madre, finendo per trion­fare solo verso il 1630 quando Maria de’Medici fu estromessa dalla guida politica della Francia. Il Richelieu poté allora realizzare il progetto di una Francia compatta all'in­terno sotto la guida della monarchia, e arbitra dei destini d'Eu­ropa dopo aver spezzato l'egemonia absburgica della Spagna e dell'impero. Tuttavia, il peso della guerra dei Trent'anni e l'insoddisfazione della nobiltà colpita nei suoi privilegi condusse alla duplice crisi della fronda: la fronda nobiliare, guidata dal principe di Condé, l'eroe della guerra in Germania, divenuto guida dei nobili insoddisfatti; e la fronda parlamentare guidata dai parlamenti provinciali insofferenti d’esser stati ridotti a mere funzioni giudi­ziarie senza significato politico.
Superate le crisi della fronda e ristabilita la pace con la Spagna, il Mazarino poteva ritenere finito il suo compito permet­tendo a Luigi XIV di diventare "ministro di se stesso" nel corso di un lunghissimo regno.
16. 1 La ripresa francese sotto Enrico IV Le ferite della guerra civile in Francia furono rimarginate in fretta: la fertilità del suolo francese non era stata compro­messa e dall'agricoltura proveniva quasi tutto il reddito della nazione. Già pochi anni dopo la pace, un ambasciatore inglese fa­ceva notare che le esportazioni di grano verso la Spagna convo­gliavano in Francia l'argento importato dall'America.
Editto di Nantes L'asse portante della politica d’Enrico IV era stato l'Editto di Nantes (1598), che concedeva agli ugonotti di praticare il loro culto in chiese pubbliche, a esclusione di Parigi e delle residenze ufficiali del re. Gli ugonotti arri­varono a formare circa 2000 comunità che avevano la tendenza a separarsi dalla nazione. Aderivano al calvinismo circa 3500 no­bili alcuni dei quali avevano un grande patrimonio e potevano ar­mare un esercito. Per difendersi in caso di torbidi, gli ugonotti avevano il controllo di piazzeforti regolarmente presidiate. Tra tutte spiccava la città e il porto di La Rochelle, il più impor­tante della costa atlantica. Tutte queste concessioni, alla fine, apparvero pericolose per l'unità della Francia. Gli ugo­notti avevano le posizioni chiave nella flotta, nell'industria e nel commercio, e tendevano a una propria linea politica che prevedeva il collegamento con i calvinisti delle Province Unite, di Ginevra, d'Inghilterra, del Palatinato.
Il duca di Sully Ugonotto era anche il duca di Sully, il più va­lido collaboratore di Enrico IV per le questioni finanziarie. Il Sully rese più efficiente la raccolta dei tributi anche se i modi per effettuarla non erano i più onesti. In Francia assunse grande rilievo la vendita delle cariche pubbliche (scabino, giudice, ga­belliere ecc.): si calcola che ne siano state vendute almeno 50.000. Poiché il denaro non bastava mai, Enrico IV decise di istituire la Paulette, un’imposta annuale pari a 1/60 del valore della carica, rendendola in cambio ereditaria.
La nobiltà minore.
Ai nobili si addiceva solo la proprietà della terra. Col nome di qualche feudo il nuovo nobile allungava il suo cognome e cominciava a vivere in modo consono alla sua dignità: doveva costruire un castello, poi divenire patrono di qualche at­tività caritativa, festeggiare degnamente il santo titolare della chiesa del suo villaggio, possedere una casa a Parigi, vestire in mo­do adeguato al rango ecc. Non era raro che dopo due o tre ge­nerazioni la famiglia fallisse per debiti e dovesse vendere quan­to era stato accumulato dalle generazioni precedenti. La richie­sta urgente di un incarico a corte, nell'esercito o nella Chiesa per molti membri di famiglie nobili era il modo ordinario per su­perare le crisi finanziarie.
La grande nobiltà
La nobiltà maggiore, invece, perseguiva con ostinazione un progetto di indipendenza dalla corona, permessa da favolose proprietà che rendevano quel ristretto ceto pari al re, il quale era tenuto ad affi­dare loro compiti di alta responsabilità. Quei nobili avevano un con­cetto tanto alto della loro dignità da collocarla innanzi al bene pubblico: nei momenti di crisi della monarchia, la grande nobiltà si ritirava nei propri feudi, armava eserciti e prendeva decisioni ritenute in linea coi propri interessi famigliari. Politica economica del Sully.
Il Sully raccomandò al re quei provvedimenti di politica economica idonei a rafforzare la capacità contributiva del paese. Furono innalzati dazi sui prodotti finiti stranieri, mentre si cercò di favorire l'importa­zione di materie prime; fu promossa l'esportazione di oggetti di lusso, cercando che la bilancia commerciale fosse attiva e che la differenza fosse pagata in oro. Quella prassi economica fu definita mercantilismo e rimase in auge per tutto il seco­lo. Così come fu applicato da Enrico IV, aveva l'inconveniente di non investire i profitti in nuove attività produttive, bensì di destinarli alle spese militari che, a loro volta, facevano passare in primo piano i problemi della politica internazionale.
Popolarità di Enrico IV.
Enrico IV era popo­lare, più di ogni altro re di Francia. Aveva anche il gusto per i grandi progetti: un canale navigabile tra la Saona e la Loira do­veva collegare il Mediterraneo con l'Atlantico per evitare il passaggio attraverso lo stretto di Gibilterra. Tutto ciò, in ogni caso, doveva avvenire dopo che fosse stata risolta a favore della Francia la partita per l'egemonia europea. Durante la crisi dell'interdetto di Venezia, Enrico IV giunse vicino alla guerra, ma preferì la composizione pacifica della questione.
Verso la guerra.
Nel 1610, invece, il re sembrava intenzionato alla guerra, prendendo a pretesto la fuga dalla Francia del prin­cipe di Condé e della sua bella moglie che Enrico IV aveva tenta­to di sedurre: i principi di Condé chiesero asilo agli arciduchi Alberto e Isabella a Bruxelles ed essi non potevano negarlo anche a costo di una guerra con la Francia. Nel maggio di quell'anno un fanatico pugnalò il re e di conseguenza la guerra non ci fu.
Dalla reggenza di Maria de’Medici al Richelieu.
La morte di Enrico IV fu il segnale perché il ceto feudale tentasse di riacquistare la propria libertà politica, cancellata da un monarca forte come era stato Enrico IV. Il figlio, Luigi XIII, aveva solo nove anni e per legge era dichiarato maggiorenne solo quando avesse compiuto quattordici anni.
Reggenza di Maria de’Medici.
Maria de’Medici capì che per non perdere tutto doveva concedere molto, ma è chiaro che la riacqui­stata potenza del ceto feudale provocava forti dissensi anche nel clero e nel Terzo Stato i cui diritti erano violati dalla pre­potenza nobiliare. La grande nobiltà, ritirata sulle proprie ter­re, si abbandonava a ogni genere di soprusi per trattare con la reggente da una posizione di forza.
La convocazione degli Stati Generali.
Nel 1614 la reggente fu co­stretta a convocare gli Stati Generali, un’istituzione tipica­mente medievale che aveva come compito principale la ripartizione delle imposte e dei donativi tra i tre ceti (nobiltà, clero, Ter­zo Stato). Come era facilmente prevedibile gli Stati Generali non approdarono ad alcuna conclusione e servirono solo a mettere in luce i dissensi tra i ceti.
Il consiglio della corona .
Sempre nel 1614 Luigi XIII fu di­chiarato maggiorenne, ma in realtà era la madre a dirigere la po­litica del paese. Il principe di Condé, imposto alla regina dalla nobiltà, divenne capo del consiglio della corona. La regina, tut­tavia, nutriva straordinaria fiducia nel fiorentino Concino de’Concini, che iniziò un'a­zione di forte opposizione alla nobiltà. Nel 1616 fu chiamato a ricoprire la carica di segretario di Stato per gli affari este­ri il vescovo di Luçon Armand Duplessis de Richelieu, una scelta risultata quanto mai felice; Barbin divenne ministro delle finan­ze e Margot cancelliere. Questo nuovo consiglio della corona con­duceva una duplice battaglia: contro il tentativo della grande nobiltà di impedire l'assolutismo monarchico, e contro la politi­ca della regina madre che insisteva per un'alleanza con la Spagna contro il protestantesimo.
Luigi XIII assume il potere con l'aiuto del Richelieu.
Il princi­pe di Condé fu arrestato e rinchiuso nella Bastiglia; nelle pro­vince furono inviati intendenti regi che entrarono in aperto con­flitto coi parlamenti per togliere loro ogni attribuzione politi­ca; infine Luigi XIII, per emanciparsi dalla tutela della madre, si sbarazzò del de’Concini, permettendo che fosse ucciso. Maria de’Medici fu allontanata da Parigi e costretta a vivere nel ca­stello di Blois. Il giovanissimo re, che non aveva spiccate capa­cità politiche, si affidò alla guida del duca di Luynes che lo indusse a un’attiva politica contro i protestanti. Nel 1622 av­venne la riconciliazione di Luigi XIII con la madre che riprese a tramare una linea di politica estera ostile al Riche­lieu. Nel 1624 il Richelieu di­venne presidente del consiglio di Stato, dimostrando di essere il più valido dei consiglieri del re, un uomo d'azione in grado di prendere rapidamente le decisioni necessarie.
Obiettivi politici del Richelieu
. Gli obiettivi perseguiti dal Richelieu appaiono abbastanza chiari: all'interno occorreva di­struggere la posizione di forza assunta dagli ugonotti perché si saldava coi tentativi autonomisti della grande nobiltà; inol­tre, una decisa azione contro gli ugonotti era gradita alla mag­gioranza dei Francesi anche perché il paese era animato da una vigorosa ripresa della pratica religiosa. In secondo luogo il Richelieu rimise in opera il mercantilismo sperimentato da Enrico IV: egli voleva fare della Francia "l'emporio comune di tutto il commercio del mondo" per avere il denaro necessario a una politi­ca di grande potenza.
Politica estera del Richelieu.
In politica estera, invece, il Ri­chelieu ritenne di dover aiutare il protestantesimo e quindi l'autonomia politica delle Province Unite e dei prìncipi tede­schi: se lungo i confini orientali della Francia non si fosse af­fermato un grande Stato, la sicurezza francese sarebbe stata mag­giore. Naturalmente i sussidi in denaro dovevano avere una con­tropartita: dalle Province Unite ottenne il consenso alla futura occupazione di una parte delle Fiandre e delle province vallone (di lingua francese) a danno dei Paesi Bassi spagnoli; dai prìn­cipi tedeschi ottenne il consenso alla fortificazione di Metz e all'occupazione dell'Alsazia, equivalente a una porta aperta per entrare in Germania. Dal duca di Savoia ottenne il possesso del marchesato di Saluzzo e la fortezza di Pinerolo, ossia la porta di accesso all'Italia per minacciare il possesso spagnolo del du­cato di Milano.
Ribellione degli ugonotti
. Gli ugonotti non compresero la politi­ca del Richelieu e con la loro rivolta del 1626 misero in perico­lo le sorti di tutto il protestantesimo europeo. A sua volta il duca Buckingham non comprese che occorreva sacrificare gli ugonotti perché la Francia continuasse a sussidiare le Province Unite e i prìncipi tedeschi, decidendo l'intervento inglese a fa­vore di La Rochelle assediata: operò lo sbarco nell'isola di Ré con poche navi e pochi uomini, rapidamente sconfitti. L'insucces­so fu completo ed ebbe forti ripercussioni interne: il Buckingham fu ucciso e Carlo I si trovò solo di fronte a un Parlamento osti­le, che decise di non convocare più, ma al prezzo di non aver più sussidi per fare una qualunque politica.
Caduta di La Rochelle.
Il 1° novembre 1629 Luigi XIII fece il so­lenne ingresso nella città di La Rochelle che si era arresa, ot­tenendo la sottomissione completa degli ugonotti. L'editto di Nantes fu riconfermato, ma le fortificazioni e le autonomie di carattere militare furono abolite.
Il Richelieu salva il protestantesimo in Germania.
Proprio in quell'anno gli Absburgo avevano ottenuto un completo suc­cesso nel corso della guerra dei Trent'anni: il Richelieu fu co­stretto a chiedere alla Francia uno sforzo supremo, nonostante la carestia e la peste che devastò il paese tra il 1630 e il 1632, e nonostante la ribellione dei parlamenti provinciali e dei conta­dini avvenute un po' ovunque: bisognava trovare denaro per finan­ziare svedesi e olandesi, impedendo agli Absburgo di sfruttare il successo. I finanziamenti concessi a Gustavo Adolfo furono deci­sivi e la Francia poté attestarsi durevolmente in Alsazia e in Lorena. Dopo la morte in battaglia di Gustavo Adolfo, il Riche­lieu continuò i finanziamenti a favore di Bernardo di Sassonia-Weimar che tuttavia fu sconfitto a Nördlingen (1634): la Francia fu costretta a intervenire direttamente nella guerra contro la Spagna e contro l'impero.
Si rafforza il regime assolutista.
L'opposizione della regina ma­dre Maria de’Medici cessò col suo allontanamento da Parigi. La lotta continuò anche contro i parlamenti, ricondotti a mere funzioni giudiziarie. Per consolidare il nuovo regime furono po­tenziate le forze di polizia per superare ogni resistenza inter­na, aumentando il controllo politico sulla nazione: si ricorse alla carcerazione preventiva sulla base di semplici sospetti me­diante le lettres de cachet; fu sviluppata la stampa di regime per convincere i Francesi della bontà delle decisioni del gover­no.
Riforma ecclesiastica.
Il potente primo ministro dette impulso alla riforma ecclesiastica: in qualità di abate commendatario dei Benedettini ottenne la trasformazione di quell'antico Ordine riconducendolo alle sue caratteristiche peculiari, per esempio lo studio delle antichità giuridiche, liturgiche ecc. che più tardi si concretarono in opere di erudizione esemplari (pa­leografia e diplomatica). La Chiesa di Francia fu illustrata da personalità poderose: san Vincenzo de’Paoli rese l'esercizio delle opere di misericordia una specie di dovere per tutti, in particolare per i ceti elevati della società, fondando circoli impegnati in una certa opera caritativa in modo continuato (Dame della carità).
Tensioni all'interno del clero di Francia.
Ma anche nella Chiesa di Francia si svilupparono germi di opposizione all'assolutismo. La Congregazione dell'Oratorio, fondata dal cardinale de Bérulle, finì per scontrarsi con la politica spregiudicata del Richelieu. Saint-Cyran guidò il monastero femminile di Port-Royal des Champs su posizioni critiche, accendendo una discussione teorica sulla mo­rale che approdò a soluzioni simili a quelle dei cal­vinisti, di profondo pessimismo circa la possibilità della natura umana di resistere agli allettamenti del male. La pubblicazione dell'Augustinus del vescovo di Ypres Cornelius Jansens, avvenuta nel 1640, fu l'evento che sca­tenò la divisione, destinata a durare circa un secolo e mezzo nel clero di Francia, con gravi conseguenze per l'unità della Chiesa.
Il nuovo esercito e l'intervento in guerra della Francia.
Nel corso della prima metà del XVII secolo avvenne un'impor­tante trasformazione degli eserciti che, da mercenari, si mutaro­no in eserciti nazionali stabili al servizio dell'assolutismo monarchico.
Innovazioni militari.
Nonostante le critiche del Machiavelli, i mercenari erano ancora le migliori truppe all'inizio della guerra dei Trent'anni, professionisti in possesso di un addestramento che le milizie territoriali del tempo non avevano. Se regolarmen­te pagati, i mercenari sapevano affrontare il pericolo con corag­gio per qualunque causa. Tuttavia, se le guerre duravano a lungo e insorgevano difficoltà di pagamento del soldo, i mercenari si ammutinavano, eleggendo uno di loro per guidarli in una guerra di rapina e di saccheggio per riscuotere in natura gli arretrati. Le truppe mercenarie, tuttavia, non potevano specializzarsi oltre un certo limite: generalmente formavano reggimenti di fanteria e squadroni di cavalleria, ossia unità per il combattimento in cam­po aperto.
Importanza assunta dalle operazioni d'assedio.
Nel XVII secolo le operazioni di guerra più comuni erano gli assedi delle città perché lì si concentrava la ricchezza e il potere decisionale. Ogni città di qualche rilievo, posta su linee di comunicazione importanti, aveva fatto costruire un potente sistema di bastioni. Quando era possibile, i bastioni erano circondati da un largo fossato riempito d'acqua. Gli angoli erano rafforzati da con­trafforti semicircolari per evitare gli angoli morti che potevano essere battuti con fuoco d'infilata (quando si è colpiti sen­za poter reagire). I punti di difesa più importanti erano raf­forzati da rivellini per difendere le porte d'uscita e così permettere le sortite.
L'artiglieria.
Gli eserciti dovevano essere rafforzati soprattutto mediante artiglierie, assistite da matematici per calcolare la parabola dei proietti. Anche l'ar­tiglieria dovette specializzarsi: l'artiglieria da campagna dove­va esser facilmente trasportabile; l'artiglieria d'assedio doveva disporre di pezzi più pesanti per aver ragione delle difese fisse. I mercenari non potevano disporre di mezzi tanto costosi: solo i governi degli Stati più grandi e più ricchi potevano radu­nare arsenali in grado di fondere il bronzo per le ar­tiglierie.
Il Genio.
Un altro corpo che esigeva grandi conoscenze tecniche era il genio: per costruire ponti sui fiumi, per trincerare un esercito in campagna, per assicurare il rifornimen­to continuo di materiali di ogni genere occorrevano tecnici. Soprattutto per costruire o per abbattere le fortezze si dovette ricorrere a un nucleo di ingegneri.
L'addestramento militare.
Gli Olandesi furono i primi ad applica­re i nuovi ritrovati dell'arte militare, in primo luogo l'adde­stramento dei soldati mediante esercitazioni simulanti il combat­timento reale. Poi vennero gli Svedesi e i Francesi, ossia gli Stati che avevano le migliori università e l'industria più affer­mata in grado di progettare e produrre i congegni più affidabili.
Gli ufficiali di carriera.
Gli ufficiali dell'esercito seguivano un corso regolare di studi, ricevevano un brevetto di nomina da parte del re, non come capi feudali alla testa di un proprio esercito da impiegare secondo criteri personali: gli ufficiali for­mavano un corpo dipendente dal re al quale dovevano un'obbedienza assoluta.
.La rivoluzione mancata: l'età della fronda.
Nei suoi ultimi anni di vita il Richelieu poté assistere al trionfo della sua politica. La Spagna e l'impero non potevano più far fronte all'usura delle loro strutture finanziarie e militari.
Trionfo della politica francese.
I nuovi criteri di composizione dell'esercito e la sua guida in mano a comandanti audaci e intel­ligenti come il principe di Condé e il visconte di Turenne dette i suoi frutti. Luigi XIII ormai malato, fu circondato da uomini di fiducia del Richelieu le cui forze, tuttavia, stavano decli­nando: morì nel dicembre 1642, ben presto seguito nella tomba da Luigi XIII (1643), l'anno della battaglia di Rocroi nel corso della quale furono battute le famose fanterie spagnole fin allora giudicate invincibili.
Nuova reggenza in Francia.
Il nuovo re, Luigi XIV, aveva solo cinque anni e perciò la madre Anna d'Austria assunse la reggenza, assistita dal cardinale Giulio Mazarino, cresciuto alla scuola del Richelieu. Luogotenente generale del regno fu il duca d'Orléans. L'offensiva delle truppe francesi, sviluppatasi dopo Rocroi, fu bloccata a Tuttlingen, dove le truppe austro-bavaresi sconfissero l'esercito francese. A dicembre 1643 si aprì a Osnabrück in Ve­stfalia la conferenza di pace, anche se le opera­zioni militari proseguirono con alterne vicende fino al 1648.
Giulio Mazarino.
Come spesso era avvenuto nella storia di Fran­cia, il periodo della reggenza fu pericoloso per la monarchia, molto più che nel 1610, perché il Mazarino era odiato, e i nobili sembravano decisi a spuntarla. Il Consiglio di Stato fu allargato in modo impressionante, facendovi entrare tutti coloro che avevano la forza di esigere quel privilegio. Naturalmente il Consiglio di Stato finì per risultare paralizzato. Intanto la guerra esigeva ancora denaro, e i nobili facevano di tutto per rendere difficile l'esazione di tasse. I magistrati, infine, cercavano di proteggere i ribelli e di procedere contro gli intendenti regi. Il governo, ridotto all'impotenza, fu co­stretto a ricorrere a grandi fermieri (appaltatori delle imposte in grado di anticipare la somma necessaria al governo) e a finan­zieri, ai quali era ceduto il diritto di riscuotere le impo­ste, di vendere cariche, di sfruttare i beni del demanio e di im­porre gabelle. I fermieri arrivarono a chiedere la protezione dell'esercito per imporre il pagamento delle tasse.
La fronda dei pubblici funzionari.
La fronda, così chiamata da un gioco infantile, cominciò nel 1648 con una rivolta dei pubblici funzionari che esigevano una riforma dello Stato: proposero l'a­bolizione dell'appalto delle imposte ai fermieri; la riconferma dei poteri degli antichi uffici finanziari; il diritto di regi­strazione dei decreti da parte delle corti provinciali dopo libe­ra discussione e votazione a maggioranza; l'abolizione delle let­tres de cachet e della carcerazione preventiva: come si vede, queste proposte significavano un deciso attac­co contro l'assolutismo regio, ed erano sostenute soprattutto dal Parlamento di Parigi che cercava di assurgere a rappresentante degli Stati Generali.
La crisi del Parlamento di Parigi.
L'esempio di Parigi fu seguito dagli altri parlamenti provinciali. Nel luglio 1648 l'agitazione era tanto estesa che il governo decise di dare valore di legge a molte di quelle proposte. Nel mese successivo, alla fine d'ago­sto, dopo una vittoria del principe di Condé, il governo ritenne d'avere la forza per arrestare il membro più autorevole del Parlamento di Parigi, il Broussel, ma la reazione di piazza fu immediata: furono erette le barricate, costringendo il governo a rilasciare il Broussel. Gli intendenti regi, organi esecutivi dell'assolutismo, dovevano avere solo compiti militari, non fi­nanziari. Furono firmati i trattati di Vestfalia, ma la gente non sembrò accorgersene. Trovandosi libero da compiti militari all'estero, il Condé fu richiamato con le sue truppe a Parigi e perciò la Corte lasciò la città. Nel gennaio 1649 iniziò la rivoluzione della fronda.
Guerra civile in Francia.
Gli anni della guerra civile coincisero con una pestilenza e una carestia durata fino al 1653. Il prezzo del pane salì e la gente non aveva denaro per gli altri generi di consumo. La fronda parlamentare finì nel marzo 1649 con la conferma delle concessioni del governo fatte nell'ot­tobre precedente.
Fronda dei nobili.
Ma a quel punto iniziò la fronda dei nobili, a cominciare dal principe di Condé che chiedeva denaro, potere e autorità per sé e per i suoi uomini vittoriosi nella guerra. Il principe di Condé fu arrestato nel 1650 mentre le regioni pe­riferiche della Francia si sollevavano e un esercito spagnolo si dirigeva su Parigi: i nobili negavano alla regina madre il dirit­to di esercitare la reggenza, sostenendo che il suo posto doveva esser preso da un consiglio di nobili; soprattutto si accusava il Mazarino di tenere sequestrato il re. Gli spagnoli furono scon­fitti, e il fronte dei nobili fu diviso da alcune concessioni del Mazarino a favore della nobiltà minore: quando apparve chiaro che anche queste concessioni sarebbero rimaste lettera morta, la rivolta divampò di nuovo (1651) e il Mazarino fu costretto a fug­gir da Parigi una seconda volta.
Tentativo di governo provvisorio.
I nobili formarono un governo provvisorio con Broussel a capo del municipio di Parigi, il duca d'Orléans luogotenente generale del regno e il Condé comandante in capo delle truppe: fu ventilata la possibilità di destituire il re Luigi XIV e di organizzare la Francia come un regno costi­tuzionale. Ma a questo punto la confusione era giunta al culmine e gli stessi sudditi non sapevano se era più grave l'arbitrio del re o l'arbitrio dei nobili. Il Mazarino andò in volontario esi­lio; il Broussel fu costretto alle dimissioni e Parigi rifiutò di fornire truppe al principe di Condé che perciò dovette le­vare il campo da Parigi. Nell'ottobre 1652 il re Luigi XIV ritor­nò a Parigi, e nel febbraio dell'anno dopo tornò anche il Mazari­no. Il 3 agosto si arrese anche la città di Bordeaux, caposaldo del Condé, ponendo termine alla rivoluzione della fronda.
I danni della guerra.
La guerra civile e la crisi economica ave­vano ridotto il paese alla miseria, alleviata solo dallo slancio religioso di san Vincenzo de’Paoli coi suoi missionari e con i circoli delle Dame della carità che operavano nelle città e nelle campagne. Le vittime più colpite dai disordini della fronda furo­no i contadini e i salariati perché le attività economiche erano state sconvolte. Dopo la rivoluzione, quando si fece l'inventario dei danni, ci si accorse che era avvenuto un grande trasferimento di proprietà fondiaria dai liberi coltivatori alla borghesia del­le città, formata da appaltatori delle imposte e da finanzieri che si erano fatti consegnare la terra ipotecata dai contadini per sopravvivere.
Ripresa economica.
La ripresa fu lenta, ma un poco alla volta il Mazarino riassunse la direzione politica del paese, conclu­dendo la pace dei Pirenei con la Spagna (1659). Dopo aver raccol­to una favolosa fortuna personale, anche il Mazarino morì (1661): il re, ammaestrato dagli avvenimenti, capì che ai Francesi non era gradito il sistema dell'assolutismo esercitato attraverso un primo ministro e perciò decise che da quel momento sarebbe stato il primo ministro di se stesso.
Versailles immagine di Luigi XIV.
È noto che per tutto il lungo periodo che va dal 1661, anno della morte del Mazarino, fino al 1715, anno della morte di Luigi XIV, l'Europa è stata ai piedi del Re Sole.
Il mestiere di re.
Su tutta la vita di Luigi XIV pesò l'impressione infantile della fuga da Parigi con la madre e col primo ministro Mazarino, in mezzo all'ostilità della folla, del Parlamento di Parigi e della grande nobiltà. Qualche mese dopo quella stessa folla acclamava il suo ritorno avendo sperimentato la tragedia della guerra civile. Pochi sovrani furono dotati come Luigi XIV di altrettanto senso della regalità e pochi si votarono come lui al "mestiere di re". Dedicava agli affari politici non meno di sei ore al giorno, un tempo straordinario per i sovrani di quel tempo. Aveva memoria tenace, un assoluto controllo delle proprie reazioni, un'incrollabile ostinazione nel perseguire gli obiettivi.
Il significato di Versailles.
Versailles non è solo una reggia, bensì la proiezione del mondo interiore del re, lo strumento per attuare la sua politica, il palcoscenico che aveva per platea il mondo e sul quale doveva troneggiare sempre e solo il re. In circa vent'anni di lavoro, quella che era all'inizio una residenza di caccia posta in zona poco salubre a circa venti chilometri da Parigi, divenne il centro ideale della Francia. Il salone degli specchi, la chiesa, il teatro di corte, l'appartamento del re furono pensati e realizzati in dimensioni insolite, decorati con uno sfarzo giudicato insuperabile. I giardini furono disegnati in modo che gli alberi divenissero parte di un'architettura rigorosa.
La vita a corte.
La vita a corte fu regolata fin nei particolari per apparire come una grande coreografia avente per centro il re: fin dal suo risveglio, seguito da una solenne processione in cui i nobili di Francia, secondo un rigoroso ordine gerarchico, portavano su cuscini di velluto gli abiti del re, fino al suo ritiro la sera, preceduto da un duca che reggeva la candela, tutti i momenti della vita del sovrano erano oggetto di una cura che ai nostri occhi appare forse ripugnante, ma che aveva un chiaro significato politico. I nobili furono attirati a corte, dove la stagione delle feste durava nove mesi, perché se non erano illuminati dal Re Sole, non potevano aspirare a cariche importanti. I nobili, rimanendo lontani tanti mesi dai loro feudi perdevano ogni autonomia nei confronti del re, anche se potevano considerarsi al di sopra di tutti gli altri Francesi. Ai nobili erano riservate le cariche politiche, militari e diplomatiche, ma erano trasformati in semplici funzionari. Dalle cariche finanziarie, al contrario, i nobili furono esclusi, quasi che il denaro sporcasse le loro mani. La monarchia poteva così assurgere alla funzione di unica mediatrice tra i due ceti più importanti, nobiltà e Terzo Stato. Il clero, nei progetti di Luigi XIV, doveva fungere da cemento della nazione.
Il documento storico.
La corte di Luigi XIV era stata ideata come un grande spet­tacolo: spesso era descritta con enfasi a beneficio di coloro che ne erano lontani perché potessero godere un qualche bagliore della gloria di Versailles. Il documento che segue riporta una lettera di Madame de Sévigné alla figlia Madame de Grignan, mo­glie del governatore della Provenza, tenuta informata di tutto ciò che avveniva a corte. È una lettera fragile, seducente, tut­ta in superficie, in cui non compare il sordo duello, vinto dalla società borghese e mercantile delle Province Unite e della Gran Bretagna, che interrompe la festa sotto forma di dispacci che giungono dal fronte.
"Ecco, mia cara, un cambiamento di scena che sarà gradito a voi e agli altri di casa. Sabato andai a Versailles con i Vil­lars. Vi racconto com’è andata. Voi conoscete la toilette della regina, la messa, il pranzo, ma non c'è bisogno di farvi soffoca­re, mentre le Loro Maestà sono a pranzo, perché alle tre il re, la Regina, Monsignore (il duca d'Orléans fratello del re), Madame (la moglie del fratello del re), Mademoiselle (la loro figlia maggiore), tutti gli altri principi e principesse, Madame de Mon­tespan (favorita del re), il loro seguito, i cortigiani, le dame, insomma tutto ciò che si chiama la corte di Francia, si ritrova nell'appartamento del Re che voi conoscete. Tutto è ammobilia­to divinamente; tutto è magnifico. Non si sa che cosa sia il cal­do. Si passa da un locale all'altro senza affollamenti. Un gioco alle carte dà la forma e fissa tutto. C'è il Re - e madame de Mon­tespan tiene la carta -, Monsignore, la regina e Madame de Soubise (altra favorita del re), M. de Dangeau (lettore del re) e compa­gni, Langlée e compagni. Mille luigi sono stesi sul tappeto; non ci sono altri gettoni. Vidi giocare Dangeau e m'accorsi quanto siamo sciocchi a suo confronto. Non pensa che agli affari propri e guadagna dove gli altri perdono. Non dimentica nulla, approfit­ta di tutto, non è mai distratto: in una parola, la sua astuta condotta sconfigge la fortuna. E così duecentomila franchi in dieci giorni, centomila scudi in un mese, vengono segnati sul suo libro mastro. Assicura che io prendevo parte al suo gioco nel momento in cui ero seduta a mio agio.
Salutai il Re, come voi sapete; egli mi restituì il saluto come se io fossi stata giovane e bella. La regina mi parlò a lun­go della sua malattia come se si fosse trattato di un parto. Mi ha chiesto di voi. Monsignore il duca (d'Enghien) mi fece mille complimenti ai quali non pensa. Il maresciallo di Lorges mi at­taccò sotto il nome di cavaliere de Grignan, infine tutti quanti: voi sapete che cosa significa ricevere una parola da tutti coloro che si incontrano. Madame de Montespan mi parlò di Bourbon (luogo termale); mi pregò di parlarle di Vichy (altro luogo termale), di come io mi ero trovata laggiù. Mi disse che Bourbon, invece di guarirla al ginocchio, le ha fatto venire male ai denti. La sua bellezza è sorprendente; la sua corporatura non è la metà di quello che era, senza che il colorito, gli occhi, le labbra siano meno belli. Era abbigliata in punto di Francia, pettinata con mille riccioli. Le bande scendevano molto in basso sulle guance. Nastri neri sul capo, perle della Marescialla de l'Hôpital, con orecchini e pendenti di diamanti molto belli, tre o quattro gioielli, niente cuffia: in una parola, una trion­fante bellezza da far ammirare agli ambasciatori. Costei ha sapu­to che ci si lamenta perché impedisce a tutta la Francia di vede­re il Re: essa l'ha restituito.
Non potete credere la gioia che tutti ne hanno, né di quanta bellezza la corte sia arricchita, da quando l'avete vista voi. Quella gradevole confusione senza confusione, di tutto ciò che v'è di più eletto dura fino alle sei. Se giungono corrieri, il Re si ri­tira per leggere le lettere, e poi ritorna. C'è sempre musica da ascoltare che fa un bell'effetto. Il re conversa con coloro che sono soliti avere quest'onore. Infine, si lascia il gioco verso l'ora che ho detto, non ci si dà pena di fare i conti; non ci so­no né gettoni né punteggi. Le puntate del gioco sono di cinque, sei, settecento luigi; le puntate grandi di mille o milleduecen­to.
Alle sei si monta in calesse, il Re, Madame de Montespan, Monsignore, Madame de Thianges, e la cameriera d'Heudicourt sullo strapuntino, ossia come in paradiso. Voi sapete come sono questi calessi; non ci si guarda, si è girati dalla stessa parte. La re­gina era in un altro calesse con le principesse e dietro tutti gli altri riuniti a loro fantasia. Si monta in gondola sul cana­le; si ascolta musica. Si torna alle dieci in tempo per la comme­dia. Suona mezzanotte. Ecco come si passa il sabato.".
Fonte: MADAME DE SEVIGNÉ, Lettres, Correspondance, Tomo II, Gal­limard, Paris 1974.
Politica ecclesiastica di Luigi XIV.
La politica religiosa del re fu simile a quella adottata nei confronti dei nobili. I re di Francia avevano il diritto di nomina dei vescovi e degli abati. Il re in genere nominava alcuni grandi personaggi appartenenti alla nobiltà, senza tener molto in conto le qualità morali o intellettuali dei candidati. Per di più, una cinquantina di quei vescovi risiedevano a Versailles, per esser più vicini al centro delle decisioni e per potervi influire, ma così facendo perdevano il contatto con i problemi delle loro diocesi, lasciate in mano a vicari dotati di scarsi poteri. La vita religiosa di Francia, dopo il periodo di fervore conosciuto nella prima metà del secolo XVII, ristagnava, le vocazioni diminuivano mentre cresceva la virulenza delle polemiche come quella del giansenismo.
Il giansenismo.
Antoine Arnauld e Blaise Pascal, discepoli dell'abate di Saint-Cyran, che aveva fatto dell'abbazia di Port-Royal il centro del giansenismo, rinfocolarono una polemica che si protrasse a lungo, provocando sottili casi di coscienza. I fatti, in breve, si possono così riassumere. Nel 1640 fu pubblicata l'opera postuma del vescovo di Ypres Cornelio Giansenio, intitolata Augustinus, in cui si sosteneva la necessità di tornare al genuino insegnamento di sant'Agostino circa la dottrina della predestinazione alla salvezza e della grazia divina in rapporto al libero arbitrio dell'uomo, in opposizione alla teologia scolastica e allo spirito dell'umanesimo moderno accettati dai Gesuiti. Fu avanzata l'accusa che le dottrine di Giansenio inclinassero verso posizioni protestanti. La facoltà di teologia della Sorbona condensò in cinque proposizioni le affermazioni ritenute erronee dell'Augustinus. Il papa Innocenzo X condannò le cinque proposizioni nel 1653, e anche i giansenisti accettarono il decreto del Papa, ma sostenendo che il pensiero effettivo di Giansenio non era stato colto dalle cinque proposizioni. La discussione avvampò soprattutto quando Pascal scese in campo con le sue Lettere provinciali, un capolavoro di polemica letteraria, anche se spesso ingiuste nei confronti dei Gesuiti, accusati di sostenere una teoria e una prassi morale lassiste.
Giansenismo e resistenza all'assolutismo.
Il Re Sole forse non capiva il senso di quella polemica, ma fu colpito dalla tenace resistenza alla sua volontà oltre che dalla presenza tra i giansenisti di alcuni nobili che avevano partecipato ai disordini della Fronda. Il re chiese a tutti gli ecclesiastici e ai religiosi di sottoscrivere un formulario antigiansenista. Le monache di Port-Royal rifiutarono, adducendo motivi di coscienza: il re impose al monastero di non accettare più postulanti per avviarlo a estinzione. I dotti che si riunivano in alcune dipendenze di Port-Royal si dispersero, ma si tennero collegati per corrispondenza rinfocolando la polemica.
La Chiesa gallicana.
In un'assemblea del clero di Francia tenuta nel 1682 Luigi XIV fece proclamare i princìpi della Chiesa gallicana, condensati in quattro punti: 1. Il re, per quanto riguarda il potere temporale, non è sottoposto ad alcun potere ecclesiastico; 2. Il concilio ecumenico è superiore al papa; 3. La Chiesa gallicana mantiene le regole, i costumi e le costituzioni ricevute nel regno; 4. Benché al papa spetti la parte principale nelle questioni di fede e tutti i suoi decreti riguardino tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa in particolare, il suo giudizio non è tuttavia irreformabile, a meno che non intervenga il consenso della Chiesa. Come si vede, il secondo e il quarto punto avrebbero potuto incamminare la Chiesa di Francia sulla via dello scisma. I vescovi francesi fecero comprendere al papa che si trattava di schermaglie e che non avevano l'intenzione di separarsi da Roma. Anche il re difese abbastanza blandamente queste posizioni finché, circa dieci anni dopo, le lasciò cadere travolto da ben altri problemi.
La revoca dell'editto di Nantes.
In campo religioso, la più grave delle decisioni di Luigi XIV fu di voler sradicare la presenza degli ugonotti nel regno. I protestanti francesi erano circa un milione su venti milioni d’abitanti. Gli ugonotti furono angariati in vario modo per circa vent'anni, discriminati da certe professioni o uffici. Il culmine della sofferenza fu raggiunto con le "dragonate", l'obbligo di alloggiare nelle case dei protestanti alcuni dragoni, la famosa fanteria a cavallo che raggruppava i più spavaldi tra i soldati dell'esercito. Gli intendenti fecero a gara nell'impiegare i mezzi più spiacevoli e ben presto cominciarono ad arrivare al re rapporti con le notizie che più desiderava: interi villaggi si convertivano e chiedevano la presenza di sacerdoti cattolici. In realtà, un numero altissimo d’artigiani, industriali e liberi professionisti (forse 300.000) abbandonarono per sempre la Francia, recandosi nei paesi protestanti dove trasferirono le loro attività economiche e le loro conoscenze tecniche. Nel 1685, dopo aver costatato che in Francia non c'erano più tanti ugonotti, il re revocò l'Editto di Nantes. Forse Luigi XIV riteneva d'aver raggiunto l'apice della sua potenza, ma non s'accorse che cominciava il declino del suo regno.
Per la storia della cultura del secolo del Re Sole si consulti di A. SCIBILIA, Il secolo di Luigi XIV, Mursia, Milano 1974.
Per il regno di Luigi XIII si consulti L.V. TAPIÉ, La Francia di Luigi XIII e di Richelieu, il Saggiatore, Milano 1960.
Per la storia delle dottrine politiche si consulti di P. ANDERSON, Lo Stato assoluto, Mondadori, Milano 1980.
Si consulti anche di P. GOUBERT, Luigi XIV e venti milioni di francesi, Laterza, Bari 1968.