FOTOGRAFIA DURANTE

San Francesco M. da Camporosso (1804-1866)
[DOCUMENTAZIONE TRATTA DA CIMP Cap - Conferenza Italiana Ministri Provinciali Cappuccini via Card. Guglielmo Massaia, 26 - 00044 Frascati]
"San Francesco Maria da Camporosso (1804-1866)
1804, 27 dicembre: nasce a Camporosso presso Ventimiglia Giovanni Croese (Francesco Maria)
1822, 14 ottobre: si fa terziario nel convento dei conventuali di Sestri Ponente
1824, in autunno: fugge da Sestri e viene accolto come postulante nel convento cappuccino di Voltri
1825: inizia l'anno di noviziato nel convento cappuccino di S. Barnaba in Genova come fratello laico e compie la vestizione il 17 dicembre
1826, 17 dicembre: emette la professione religiosa e viene subito destinato al convento della SS. Concezione in Genova
1831: diventa aiutante questuante "di campagna" per la vallata del Bisagno
1834: gli viene affidata la "questua di città"
1840: i superiori lo fanno "capo-sportella", ossia responsabile di tutti i fratelli questuanti
1853: accusa stanchezza e subisce interventi alle vene varicose, spesso poi ripetuti negli anni successivi
1866, 5 agosto: la città di Genova è colpita dal colera e fra Francesco Maria fa l'offerta della sua vita
1866, 17 settembre: dopo tre giorni di malattia muore
1911: le sue spoglie, dal cimitero di Staglieno, vengono traslate nella chiesa del convento
1896, 9 agosto: viene introdotta la causa di beatificazione a Roma
1929, 30 giugno: Pio XI procede alla sua beatificazione
1962, 9 dicembre: Giovanni XXIII lo dichiara "santo".
La volontà di Dio è sempre giusta, sempre santa, sempre amorosa e paterna con noi. Val più un'ora di patire che cento anni di delizie. Silenzio, mortificazione, preghiera, per aver pace col Signore, pace con noi, pace con tutto il mondo. (S. Francesco Maria da Camporosso) Nella liturgia viene ricordato il 20 settembre
PADRE SANTO DI GENOVA
Nato il 27 dicembre 1804 a Camporosso, piccolo borgo della costa ponentina ligure presso Ventimiglia, quarto dei cinque figli di Anselmo Croese e Maria Antonia Gazzo, in una famiglia contadina, dopo aver frequentato la scuola per poco tempo e con scarso entusiasmo, Giovanni a sette anni iniziò a lavorare in famiglia conducendo al pascolo una vaccherella, sicura garanzia di vitto per la famigliuola e poi aiutò nel lavoro dei campi, piccoli appezzamenti di terreno da cui i Croese ricavavano olio, vino e ortaggi. In famiglia era molto sentita la devozione mariana: quando, poco più che decenne, si ammalò gravemente, venne portato in pellegrinaggio al santuario della Madonna del Laghetto, presso Nizza. Egli ne rimase profondamente colpito e cominciò a frequentare i francescani, conoscendo bene un frate conventuale del paese, fra Giovanni. Lentamente maturò la sua vocazione, così che il 14 ottobre 1822 entrò come terziario, con il nome di frate Antonio, nel convento dei frati minori conventuali di Sestri Ponente. Ma qui la vita, quasi più agiata che in famiglia, non soddisfaceva il giovane che aspirava all'assoluta povertà e alla meditazione interiore. Decise perciò di vestire l'abito dei cappuccini e, non riuscendo ad ottenere il consenso dei superiori al trasferimento, accordatosi con p. Alessandro Canepa da Genova, un cappuccino suo conoscente, una mattina del tardo autunno 1824 fuggì da Sestri e venne accolto a S. Francesco di Voltri, un luogo cappuccino come un romitaggio, dove, ricevuto il nuovo nome di fra Francesco Maria, rimase quasi tre anni come postulante. Si distinse per il suo spirito di carità fino a "dare ai poveri il proprio cibo, contentandosi per sé degli avanzi che trovava", come riferisce un testimone. Ma non era nuovo a questi gesti. Fin da piccolo era abituato e si racconta che durante un viaggio a Mentone, dove suo padre cercava di avviare qualche piccola attività commerciale, aveva regalato a un suo coetaneo cencioso il vestitino nuovo appena acquistato, con grande stizza del genitore che gli aveva dato un sonoro schiaffo, al quale prontamente Giovannino aveva risposto porgendo l'altra guancia, meritandosi dal padre un abbraccio di ammirazione. L'esperienza di Voltri, in realtà, completava quella di Sestri e così, sul finire del 1825 fra Francesco Maria, con l'autorizzazione del vicario provinciale Antonio da Cipressa, partiva per il convento eremo di S. Barnaba in Genova per trascorrervi l'anno di prova del noviziato. Il 17 dicembre rivestì l'abito di novizio e il suo maestro, padre Bernardo da Pontedecimo, dovette moderargli il fervore. Ma i suoi compagni che ne condivisero l'esperienza ricordano la sua bontà e affabilità. Egli aveva scelto di essere fratello laico e confiderà più tardi che, sull'esempio di san Francesco, "è preferibile starsene umili e ubbidienti". Un anno dopo, il 17 dicembre 1826, emetteva la sua professione dei voti nelle mani di p. Samuele Bocciardo da Genova. Aveva appena ventidue anni, ma la sua maturità spirituale convinse i superiori di destinarlo subito al convento principale della provincia, quello della SS. Concezione in Genova, dove rimase fino alla morte. Questo convento era un concentrato di molteplici attività religiose e sociali: oltre l'osservanza conventuale e il ministero apostolico, il convento comprendeva la curia provinciale, l'infermeria, il "lanificio" per i panni dei frati, una farmacia aperta anche al pubblico con assistenza sanitaria e la sorveglianza al peso pubblico e alla distribuzione della legna al ponte della SS. Concezione del porto. Il nuovo arrivato venne impiegato ora in un ufficio ora in un altro con umile rodaggio di servizi, come infermiere, cuoco, ortolano, sacrestano, "sempre infaticabile e sereno", dicono i processi. Furono quasi cinque anni senza particolarità, ma la sua carità andò affinandosi, tanto che nel 1831 il vecchio cercatore di campagna, fra Pio da Pontedecimo, non potendone più, venne affiancato da Fra Francesco Maria. Si stava profilando ormai quella sua vocazione e missione che lo avrebbero reso il più famoso questuante della provincia. Per circa due anni percorse la vallata del Bisagno, visitando le diverse "ville" dei contadini. Fu un apprendistato prezioso che gli insegnò un suo stile di vita e un suo metodo nei rapporti con il pubblico, fatto di parole di fede, di pazienza, di carità, umiltà e devozione. L'ottimo risultato della "questua di campagna" spinse il padre guardiano ad affidargli la "questua di città". La gente, che già aveva intuito in lui la santità, non riuscì più a far senza di lui. Si abituò talmente alla sua presenza per le vie della città, da sentirne il bisogno. Egli dopo aver partecipato di buon mattino ad alcune sante messe, con la bisaccia a tracolla e accompagnato sempre da un bambino con la saccoccia al collo per ricevere le elemosine pecuniarie, si incamminava per le vie della città. Si era scelto come protettore san Felice da Cantalice. Ma non si potrebbe ora narrare la sua vita senza raccontare anche la storia della città di Genova ottocentesca, fremente di tensioni e sussulti risorgimentali e sociali. Egli ascoltava tutti e a lui tutti, piccoli e grandi, potevano affidare con fiducia le proprie ansie quotidiane. Sono "fioretti" a non finire, spesso graziosi e miracolosi, che traducono in modo realistico ed esatto la "scena" del nuovo sviluppo della città. I suoi principali interlocutori erano le mamme di casa, le bottegaie, la gente di mare, i facchini del porto, i bambini coi loro piccoli problemi, i mercanti che chiedevano consiglio, i malati che andava a visitare anche con sacrificio, i carcerati che cercavano più giustizia. Il Signore lo arricchiva di carismi quando rispondeva alle domande non ancora espresse o parlava di cose lontane e future. La sua fama si era allargata anche fuori città, oltre i vicoli da lui frequentati, e doveva con fatica rispondere a molte lettere che riceveva, una fitta corrispondenza andata quasi tutta smarrita. Una data, il 1840, rappresenta il prestigio, anche tra i confratelli, del suo ufficio: i superiori lo fecero "capo-sportella", ossia capo questuante, guida e coordinatore del gruppo di fratelli cercatori. Alla saccoccia a tracolla sostituì la sporta di vimini appesa al braccio, quella intrecciata con tecnica tutta propria dell'artigianato cappuccino. Egli era autorizzato a questuare generi alimentari più raffinati per i malati e poteva entrare nel "portofranco" dove si vendevano merci pregiate. Nel convento poteva disporre di un locale-deposito per raccogliervi la merce e poi distribuirla, come anche amministrare le elemosine delle messe e assegnare ai diversi frati cercatori i diversi quartieri della città. Queste autorevoli nuove possibilità permisero al "padre santo", come normalmente ormai era chiamato dalla gente, di intervenire con aiuti più tempestivi e continui, anche pecuniari, per famiglie e individui in difficoltà, particolarmente le famiglie degli emigrati in America e quelle dei marinai costretti a prolungate assenze da casa. Tra i suoi benefattori ci furono anche protestanti, ebrei e non credenti, che contribuirono volentieri alla sua raccolta, sicuri che il provento sarebbe andato ai poveri. Di questo era autorizzato dai suoi superiori, fiduciosi nella sua prudenza ed equilibrio, superando con ciò facili obiezioni durante il processo di beatificazione. La lampada della sua pietà si colmava soprattutto nelle silenziose ore notturne, e cercava di ricuperare la preghiera in mille maniere: nelle frequenti visite alle chiese incontrate per le strade della città, meditazione preferibilmente sui dolori di Cristo, fedeltà alle azioni liturgiche della comunità. E penitenza, estremamente rigido con se stesso, dormendo su nude assi o accontentandosi di frusti di pane inzuppati in acqua calda, o usando solo abiti rozzi e rattoppati, sempre a piedi nudi, nutrendosi per anni una sola volta al giorno e facendo uso costante del cilicio e del flagello. Ma era pronto, nell'obbedienza, con libertà di spirito, ad usare più riguardo, diffondendo, come si legge nelle deposizioni, una santità veramente amabile. La sua spiritualità assumeva con la gente quel tocco popolaresco di immediatezza e spontaneità, ma anche quell'ardore missionario, allora esplosivo nella Chiesa, che gli faceva desiderare: "Oh! Se fossi giovane e potessi andare con i nostri missionari!". E si preoccupò anche di favorire le vocazioni e l'avvio al sacerdozio di giovani idonei e privi di mezzi. L'iconografia popolare lo ritrae alto, magro, austero, con la inseparabile sporta, sempre accompagnato da un fanciullo con la cassetta delle offerte. Il generoso atteggiamento di soccorso verso la gente che incontrava nel suo itinerario quotidiano per la questua fece conoscere la sua fama in ogni rione della città e quando, alla sera, rientrava in convento, trovava un numero sempre crescente di bisognosi che invitava, davanti a richieste soverchianti le sue forze, ad affidarsi all'intercessione della Madonna. Ed è a questo particolare aspetto della spiritualità di Francesco Maria che si ricollega la scultura dedicatagli dalla popolazione genovese per opera di G. Galletti: in essa il santo è raffigurato nel gesto di invitare un vagabondo, una madre con bambino morente e uno scaricatore portuale alla invocazione alla Vergine. Negli ultimi anni di vita inasprì ulteriormente le mortificazioni che si infliggeva e proseguì nel suo impegno, nonostante una grave infermità che lo aveva colpito alle gambe. La sua spiritualità semplice trovava il suo fulcro nell'offerta del sacrificio alimentato nella fede e nella speranza: ne sono espressione le sue lettere, scritte con fatica dal santo o da lui dettate. L'iconografia più rappresentativa, riscontrabile in un quadro dipinto da P. Dodero e donato a Pio IX, lo raffigura nell'atto di donare la sua vita per la salvezza della città di Genova. Nel 1866, infatti, quando la città portuale fu colpita da un'epidemia di colera, Francesco Maria, impossibilitato a soccorrere i malati per le sue precarie condizioni di salute, offrì la sua vita per la sconfitta del morbo. Morì, dopo tre giorni di malattia, il 17 settembre 1866 e, contemporaneamente, secondo alcune fonti dell'epoca, i decessi causati dal colera presero a diminuire. Il suo corpo, cosparso di calce, fu dapprima sepolto nel cimitero di Staglieno, dove con sottoscrizione pubblica gli fu eretto un monumento, e successivamente trasferito, nel 1911, nella chiesa del convento in cui era vissuto. Dopo la morte i fedeli continuarono a ricorrere a lui con devozione e iniziarono a verificarsi grazie e miracoli attribuibili alla sua intercessione. Conclusi i processi informativi, la causa venne introdotta a Roma il 9 agosto 1896. Il decreto sulla eroicità delle virtù venne firmato il 18 dicembre 1922. Pio Xl procedette alla beatificazione il 30 giugno 1929 e Giovanni XXIII lo canonizzò il 9 dicembre 1962, a conclusione del primo periodo del Concilio Vaticano II. La città di Genova gli ha eretto un monumento nella zona del porto".