ESEMPLARE DA RACCOLTA PRIVATA
Così il SERVIO alle PP. 540-541 del suo trattato sull'unguento armario adduce alcuni esempi di EMISSIONE DI SANGUE DA PARTE DI CADAVERI (traduzione):
"Cosa mai esiste di più straordinario dei corpi degli assassinati che gettano sangue, pur quando questo è già coagulato, allorquando gli giunga chi li ha uccisi. E perché tu non possa dire che io vado riferendo un qualche aneddoto di pura fantasia ti narrerò due episodi straordinari quanto assolutamente veritieri, capaci di persuadere anche il più scettico degli uomini qual fu Timone Niceo.
La prima di queste storie riguarda un ragazzo di Cesena che era stato ucciso da suo padre.
Giuliano Malacava, originariamente fabbro di professione e quindi decurione in politica, amava profondamente sua moglie e non supponeva che quel suo legame avrebbe potuto degenerare: ma così non fu ed intrapresa una relazione con una sua amante cominciò a pensare di liberarsi della moglie assassinandola. E così la strangolò, incredibile delitto, proprio mentre lei era gravida di un suo figlio.
Da quando fu perpetrato il crimine erano passati già tre giorni, quando, proprio mentre tornava a casa quell'uomo, che per non suscitare possibili sospetti aveva finto d'esser assente nei poderi di campagna, innanzi a lui fu estratte il feto d'un fanciullo che immediatamente prese a sanguinare dalle narici. E ciò accadde il nel 1632 al dì terzo prima delle none di Febbraio come si apprende dalla pubblica storia di Cesena che mi fu messa a disposizione e che potei leggere compiutamente: sulla base di tal prova fu egli accusato d'omicidio innanzi il Pretore di città, fu gettato in carcere, si procedette all'investigazione e finalmente confessò il suo reato, venne quindi giustiziato per impiccagione lenta il giorno 12 Dicembre 1633.
Il secondo episodio non ha a che fare con un assassinato o col suo omicida ma, cosa ancora più straordinaria, costituisce una prova eccezionale degli effetti simpatetici che possono intercorrere fra gli esseri umani. Nel mese di Luglio dell'anno scorso, che era il 1636, tal Giuseppe figlio di Pietro Paolo Pellegrino, barbiere presso la chiesa del divo Agostino in Roma, venne travolto dai gorghi del Tevere e sparve per otto giorni.
Passata una settimana, riemerso, il corpo venne trasportato dalle acque del fiume sin all'Arco di Parma (così si chiama volgarmente la cloaca che giunge dalla regione della Mole di Adriano) e quindi venne raccolto da alcuni che andavano navigando nel Tevere: il cadavere era orribile, quasi informe, privo ormai di sangue, senza più alcun vago spirito vitale e oramai già quasi completamente aggredito dal processo di decomposizione. Ma quando sopraggiunse l'avvisato suo fratello gemello, di colpo e ad entrambi, prese a scorrere sangue dalle nari sì che gli astanti furono presi da gran stupore e gridarono al miracolo. E queste cose, caro lettore mio, non le ho apprese da dei creduloni o da donnette di poco conto ma le ho sapute sia da testimoni oculari assolutamente degni di fede quanto dallo stesso padre dei due giovani e ben pochi giorni dopo che avvenne quello spargimento di sangue".