cultura barocca
INFORMATIZZAZ. A C. DI B. DURANTE

Le radici della storia del PARTO e quindi dell'OSTETRICA e della GINECOLOGIA sono antichissime quanto fumose.
Nella Bibbia (Exod.c1) si legge che quando il Faraone ordinò alle levatrici ebree di uccidere tutti i nati maschi, così queste rispondessero: "Le donne egizie non sanno partorire senza le ostetriche. Le nostre donne ebree, quando giungiamo, hanno già partorito".
Come in Egitto, anche nell'antica Grecia e a Roma erano presenti le levatrici, mentre i medici intervenivano solo nelle situazioni gravi e disperate.
Nel Corpus Hippocraticum sono contenuti sette libri che riguardano I'ostetricia e la ginecologia: "Le malattie delle donne I e II"; "La sterilità femminile"; "La super- fetazione"; "Il parto settimestre"; "Il parto ottimestre"; "L 'embriotomia nell'utero".
Accanto a nozioni di anatomia e fisiologia, si trovano numerose osservazioni di clinica e prescrizioni terapeutiche.
Le ovaie, di lato all'utero e ritenute corrispettive dei testicoli, avrebbero il compito di secernere il seme femminile.
L'utero è costituito da due cavità, destra e sinistra, ed è destinato ad accogliere embrioni di sesso maschile nella prima e di sesso femminile nella seconda. Anche sulla riproduzione le competenze risultano limitate.
Si pensa che il feto maschile si formi in 30 giorni e cominci a muoversi a quattro mesi, quello femminile in 42 giorni e si muova a tre mesi.
La presentazione cefalica era ritenuta la sola naturale.
All'inizio della gravidanza ,secondo questi testi, il bambino cresce come una pianta, ossia con la testa in alto, poi al settimo mese, il peso gli fa fare una capriola, infatti 1e parti del feto sopra l'ombelico sono le più pesanti.
Quindi, se la gravidanza si svolge normalmente, il feto deve uscire con la testa in avanti.
Secondo alcuni storici Ippocrate conosceva già la sedia ostetrica.
Per facilitare il parto, la partoriente veniva sottoposta alla «succussione ippocratica», consistente nel legare la partoriente ad una panca o ad un letto posti in posizione verticale che, al momento delle doglie, venivano sollevati e lasciati cadere su dei fagotti, che avevano lo scopo di ammortizzare il colpo.
Questo metodo sembra che fosse già usato un secolo prima da Eurifoe di Cnido.
Numerosi storici sono del parere che molte notizie contenute nei libri di ostetricia e ginecologia del Corpus Hippocraticum provengano dalle scuole di Cnido.
L'aborto spontaneo, oggetto di numerosi scritti da parte dei medici ippocratici, era attribuito se ripetuto e al terzo mese di gravidanza, ad ipoplasia uterina oppure ad una anomalia congenita della mucosa dell'utero troppo liscia o a cicatrizzazioni successive ad ulcerazioni.
L'aborto era molto praticato ed in caso di fallimento dei metodi contraccettivi e abortivi, si ricorreva alla embriotomia endouterina.
Eurifoe di Cnido cercava di ottenere l'aborto appendendo la donna ad una scala e scuotendola fino a farle espellere il feto.
Numerosi sono gli scritti sulla cura della sterilità.
Per accertare la fecondità della donna, Ippocrate descrive due metodi denominati "Prova del profumo" .
Uno, acquisito dalla medicina egiziana, consisteva nel far bollire una testa di aglio e, fattone un pessario, vemva lasciato nella vagina della donna da esaminare per un giorno.
Se compariva l'odore dell'aglio, significava che essa poteva concepire.
L'altra "prova del profumo", in seguito ripresa da Aristotele, era la seguente: "Se la donna non concepisce, e se volete sapere se può concepire o no, bisogna avvolgerla da ogni parte con lini o coperte e metterle sotto un profumo; se vedete che l'odore del profumo, penetrando nel corpo, si comunica al naso e alla bocca, siate certi che non è di per se sterile".
Per combattere la sterilità furono escogitate numerose e complesse terapie, consistenti fondamentalmente nel provocare la dilatazione del collo dell'utero.
Si consigliavano a tal fine lavande vaginali con acqua calda, associate all'applicazione di pessari ammorbidenti il collo dell'utero a base di resina, polvere di bronzo e miele.
Le lavande venivano fatte con una zucca svuotata, di cui la donna introduceva il collo nella vagina.
Altre volte, per ottenere la dilatazione del collo dell'utero, si ricorreva a fumigazioni, seguite dall'introduzione nel collo dell'utero di bastoncini di legno ben lisci e stondati, senza schegge, di dimensioni progressivamente maggiori, ben spalmati di olio.
Questi bastoncini sembrano anticipare di secoli i dilatatori di Hegar .
Il termine "pessario", molto usato negli scritti ippocratici sulla ginecologia, aveva un significato diverso da quello che gli attribuiamo oggi.
Si trattava, infatti, di tamponi vaginali di lana o di seta utilizzati per applicare sostanze medicamentose.
Le lavande non erano limitate alla vagina, ma in certi casi erano previste anche vere e proprie iniezioni intrauterine.
In un trattato ippocratico si legge: " ..si aprirà l'orifizio dell'utero, vi si inietterà vino aromatico.
Oltre all'esplorazione vaginale che, per alcuni storici, è stata eseguita per la prima volta da Ippocrate, i medici greci praticavano, molto verosimilmente, anche l'ispezione diretta della vagina mediante lo speculum.
Questo strumento era già stato utilizzato dal chirurgo indiano Susruta alcuni secoli prima.
Nei libri ippocratici è anche descritto un discreto numero di malattie ginecologiche, dalle malposizioni uterine al prolasso, che veniva curato con la succussione sulla donna appesa a testa in giù, alle dismenorree, alle metriti, al tumore dell'utero.
Per ognuna di queste malattie erano indicate terapie spesso complesse.
Nel periodo postippocratico raggiunse una discreta fama Erofilo, autore del "Libro delle levatrici".
A questo si ispirò Sorano, considerato il padre dell'ostetricia antica.
Erasistrato segnalò "emottisi supplettive" delle mestruazioni e in ostetricia considerò la possibilità della embriotomia endouterina in caso di malformazione fetale.
Anche Cleopatra fece scrivere ai medici della sua corte, un trattato di ginecologia intitolato "Genesis".
Negli scritti di Plinio il Vecchio si ha la prima descrizione di un taglio cesareo eseguito su donna morta.
L'estrazione del feto da donna morta era imposta nella Roma antica della prima monarchia dalla "lex regia".
Galeno aveva affermato che il taglio dei muscoli addominali non era pericoloso.
In antiche rappresentazioni è disegnato il taglio sul lato destro, ma anche centrale o sinistro.
Nella Scuola Salernitana,Trocta o Trotula , identificata da molti come una donna medico, sarebbe l'autrice di una raccolta di tradizioni orali "De mulieribus passionibus in ante et post partum".
Questo trattato contiene interessanti osservazioni ginecologiche ed ostetriche come i consigli a proposito delle alterazioni mestruali e delle tecniche di protezione del perineo durante il parto.
Non si sa molto successivamente, la donna continuò a partorire sulla sedia ostetrica aiutata da due levatrici fino al seicento, allorché, grazie a chirurghi ostetrici soprattutto francesi, la storia del parto si arricchisce di notizie interessanti.
Il francese François Rousset è il primo che abbia avuto l'intuizione di salvare la vita alla madre e al feto con il taglio cesareo nel 1581.
Gli restò attribuito il titolo di padre del taglio cesareo.
Nel 1600 si ebbe in Francia un notevole risveglio dell'ostetricia, soprattutto per merito di François Mauriceau (1637-1709), considerato il fondatore della moderna ostetricia.
Oltre a Mauriceau, si ebbero anche altri celebri ostetrici francesi, quali Filippe Peu, Paolo Portal e Come Viardel, che coi loro scritti, ci fanno conoscere i problemi dell'ostetricia di allora, soprattutto del taglio cesareo e dell'uso del forcipe, appena inventato. A Parigi l'insegnamento, che faceva parte dell'organizzazione del servizio di Ostetricia dell'Hotel Dieu, era in mano ai chirurghi di San Cosma. Francois Mauriceau era un chirurgo barbiere di San Cosma, ma ciò non gli impedì di diventare uno dei maggiori ostetrici della storia.
Di carattere scontroso e dotato di una grande ambizione, egli era solito trattare con disprezzo i suoi colleghi.
Fra questi prese di mira Filippo Peu, facendo nascere una disputa che divenne famosa e servì a mettere in una luce non tanto favorevole la personalità del Mauriceau.
Filippo Peu pubblicò nel 1694 un'opera di oltre 600 pagine intitolata "La pratique des accouchements" comprendente otto tavole fuori testo, di cui sette rappresentano le posizioni del feto e l'ottava i "ganci o uncini" e i pessari.
Contrariamente a quanto fece Mauriceau nel suo celebre trattato "Les maladies des femmes grosses et accouchées", il Peu non riportò in questa sua opera alcuna tavola anatomica, giustificandosi di non averlo fatto perché esse sono "... rappresentazioni o tratti di erudizione più lascivi che utili".
Ma a scatenare l'ira del Mauriceau contro il Peu fu soprattutto il capitolo sul "tiratesta" in cui il Peu sostiene di aver conosciuto questo strumento "prima" del Mauriceau e di averlo sempre ritenuto "inutile, più adatto a tirar via la vita che altro.
Il Peu espresse, inoltre, dei dubbi sulla validità del battesimo "in utero", per cui preferiva estrarre il bambino con l' "uncino" anziché col "tiratesta", poiché con l' "uncino", contrariamente a quanto avveniva col "tiratesta", si aveva la possibilità di farlo sopravvivere alcuni istanti, sufficienti a salvargli l'anima con il battesimo.
Alle critiche rivoltegli dal Peu, Mauriceau rispose in termini molto offensivi, asserendo che la lettura del suo testo sarebbe stata deleteria per chi volesse accostarsi alla pratica del parto e il suo libro avrebbe dovuto intitolarsi "Mauvaise pratique des accouchements".
Chamberlen, 1560-1631, chirurgo francese costretto ad emigrare in Inghilterra per motivi religiosi, tenne segreto l'uso del FORCIPE ESTRATTORE tramandato per oltre un secolo, di padre in figlio, nella sua famiglia.
Nel 1670, Ugo Chamberlen portò il forcipe a Parigi per farlo conoscere e in tale occasione incontrò Mauriceau, che così descrisse l'incontro "... Dichiarai l'impossibilità di far partorire questa donna a tutti gli assistenti che mi pregavano di estrarle il figlio dal ventre con il taglio cesareo; operazione che mi rifiutai di praticare, sapendo sicuramente che sarebbe stata mortale per la madre. Ma dopo che ebbi lasciato la donna in quello stato, arrivò un medico inglese di nome Chamberlen, che si trovava allora a Parigi e che per una tradizione tramandata di padre in figlio, nella città di Londra, da tempo aveva raggiunto fama di grande ostetrico. Quando vide la donna nello stato che ho detto, e avendo saputo che non avevo trovata alcuna possibilità di farla partorire, affermò di essere stupito che non ne fossi venuto a capo, poiché di me si diceva che ero l'uomo più abile in tutta Parigi. Promise di farla partorire senza alcun pericolo in meno di un quarto d'ora, qualunque fossero le difficoltà che avrebbe potuto incontrare...dovette faticare per oltre tre ore senza mai smettere se non per riprendere fiato...e vedendo che la poverina stava per spirare nelle sue mani, fu costretto a rinunciare. Fu anche costretto ad ammettere che era impossibile, come avevo dichiarato. Quella povera donna morì con il suo bambino nel ventre 24 ore dopo le terribili violenze cui l'aveva sottoposta Chamberlen e dall'apertura che le praticai nel corpo, ricorrendo al taglio cesareo dopo la morte, trovai la matrice (utero) tutta strappata e in più punti bucata dallo strumento di cui questo medico si era ciecamente servito, senza la guida della mano. L'esperienza di questo parto increscioso disgustò questo medico a tal punto che pochi giorni dopo se ne tornò in Inghilterra, rendendosi conto che a Parigi c'erano persone più abili di lui nell'arte di fare partorire. Ma prima di ripartire per Londra mi fece visita a casa, per complimentarsi con me per il mio libro sui parti, che avevo dato alle stampe ormai da due anni. Chamberlen fece tradurre quel libro in inglese, nell'anno 1672, dopo la quale traduzione ho acquisito anche in Inghilterra un'alta fama nell'arte di far partorire... ".
In effetti il FORCIPE era stato inventato da tempi remoti lo conoscevano i Romani e prima di loro verisimilmente i Greci e gli Egizi: ma non aveva la funzione di estrattore del feto vivente era semmai un "cranioclasto", serviva principalmente a smembrare il feto morto e quindi per via delle tenaglie estrarne le parti sì che la loro decomposizione non procurasse alla madre sopravvissuta gravi infezioni.
Sopra nell'IMMAGINE 1 e quindi nell'IMMAGINE 2 si possono vedere FORCIPI rinvenuti durante gli scavi archeologici a Pompei: il problema vero stava nella loro specificità e nella tecnica da usare che, come si vede nel tentativo appena citato del Chamberlen, comportava enormi rischi.
Nell'antichità il FORCIPE era soprattutto uno strumento utilizzato per evitare il temutissimo PARTO CESAREO O TAGLIO CESAREO (VEDI E APPROFONDISCI) di cui ci parla in una sua OPERA BASILARE l'ostetrico italiano MERCURIO che, al fine di evitare questa operazione, non si asteneva dall'uso oltre che di TENAGLIE/PINZE (sostanzialmente equivalenti al FORCIPE) di GANCI (quelli che i medici francesi meglio chiamavano UNCINI) sia CONSERVATIVI che DEMOLITORI del feto comunque morto al fine di salvare la madre senza esporla al rischio di un'operazione pericolosissima.
Vedi per un approfondimento: F. BOTTIGLIONI, D. D'ALOYSIO, P. ALTIERI, Il forcipe nella storia, in "Alma Mater Studiorum", Bologna, Università degli Studi di Bologna, 1989. II, 1, pp. 137 seguenti.



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