E' opinione diffusa, quanto innegabile sotto molti aspetti, che paura e superstizione abbiano interagito a lungo, da parte d'ogni componente di qualsiasi consorzio sociale, con l'applicazione del diritto criminale nell'età intermedia, quello "jus" che risultava sancito, dopo l' iter legislativo, entro le pagine degli Statuti Criminali dell'Antico Regime.
E' attribuito alla polemica e alla rivoluzione socio-politica e culturale condotta dai pensatori illuministi d'aver rovesciato in molti punti un corpo giuridico che, sia sotto l'aspetto civile ma ancor più sotto quello penale, risultava inadatto alla moderna giustizia e spesso ancorato a tradizioni investigative e processuali, strutturate sul troncone del diritto medievale, e che, non di rado, si richiamavano, per distinguere tra reità ed innocenza, ad inquisizioni che rimandavano a prove sanguinarie.
Su ciò "troneggiava", accanto ad un disprezzo per i diritti naturali dell'individuo, l'uso della tortura punitiva o letale, della pena pubblica ed infamante, del castigo applicato in maniera scenografica e spettacolare quale monito, dello Stato e della Chiesa, contro l'istinto di ribellione, individuale o collettivo, di MASSE PROLETARIE sempre più immiserite, numerose ed indifese sia rispetto alla severità crescente di ammende e pene fisiche sia a fronte del GARANTISMO invece offerto ai RELIGIOSI ( anche per l'istituzione del PRIVILEGIO DEL FORO tuttavia già perseguita da molti despoti illuminati ) e soprattutto alla NOBILTA', senza escludere gli aderenti a quella emergente borghesia che, per quanto avvilita dalla mancanza d'un autonomo vigore politico in seno alle massime cariche istituzionali, poteva pur sempre avvalersi del denaro al fine d' ottenere, secondo uno fra i tanti aspetti discriminanti del vecchio diritto criminale, una commutazione delle pene più abominevoli [senza escludere l'estremo supplizio: sulla forca per impiccagione lenta (per i condannati dei ceti meno abbienti), per decapitazione (contro i colpevoli dei ceti elevati e nobili), al rogo (per gli Eretici] in FORTI MA SOLVIBILI AMMENDE da pagarsi a vantaggio dello Stato.
Gli Statuti Criminali della Serenissima Repubblica di Genova vennero editi per la I volta nel 1557, dopo sanzione governativa del 15-IX- 1556, ad opera di Antonio Belloni(-e) "Bibliopola" e "Tipografo dogale": si legge sul frontespizio: "CRIMINALIUM IURIUM/CIVITATIS GENUENSIS/ LIBRI DUO - EXUDEBANTUR GENUAE CURA & DILIGENTIA ANTONIJ BELONI DUCALIS TYPOGRAPHI, ANNO A CHRI/STO NATO SEPTIMO & QUINQUAGESIMO SUPRA/ SESQUIMILESIMUM MENSE SEPTEMBRI" [opera dei giurisperiti Nicolò Gentile Senarega, Stefano Cattaneo e Pietro Giovanni Chiavica].
Si tratta di un codice di pagine [X] 90 [I]:
-da p. I a p.V corre l'"Index titulorum criminalium" (indice dei libri criminali) [diviso nelle sezioni "libri primi/ de modo procedendi" >"del libro primo - sulle procedure" e "libri secundi/ de poenis">"del libro secondo - delle pene"];
-a p. VI si trovano tre carmi latini, adespoti, sulla salvaguardia della giustizia nel genovesato; -da p. VII a p.X segue l'introduzione filosofico-giuridica degli autori;
-da p. 1 a p.23 - prime 7 righe dall'alto - corrono i 31 capitoli "sulle procedure";
-da p. 23 (sotto intestazione "Criminalium liber secundus/ de poenis") a p.90 si succedono i 99 capitoli "sulle pene";
-p.91 contiene 7 linee di "captatio benevolentiae" o ricerca di benevolenza da parte del lettore, per eventuali mende tipografiche, dello stampatore che si firma, in testa di pagina, "Antonius Belonus Bibliopola" [seguono, nella stessa, 5 linee di errata corrige]
Questi "Ordinamenti Criminali" stampati nel 1557 in numero limitato di copie furono poi utilmente riproposti, per le esigenze dei giurisperiti, nel 1616 dallo stampatore genovese G. Pavone (-i) sotto titolo quasi identico di "Criminalium Iurium Civitatis Genuae Libri": per ulteriori dati sulle stesse "leggi criminali genovesi del 1556" si può consultare la "Biblioteca del Senato della Repubblica, Catalogo della Raccolta di Statuti", a cura di C. Chelazzi, vol. III, Firenze, 1955, pp. 284-285.
Siffatte leggi criminali del 1556 che, per intrinseca sostanza, consentivano una vistosa interferenza nel corso della giustizia delle alte cariche dello Stato, peraltro accompagnate ad una notevole frammentazione fra i magistrati veri e propri delle Curie o tribunali e le numerose magistrature ed uffici che avevano storicamente facoltà di giudicare su crimini di loro peculiare competenza.
A testimoniare la grave insoddisfazione del popolo e dei ceti nobiliari subalterni per una forma di giustizia che, vista l'ambiguità di particolari capitoli e le ampie licenze di intromissione concesse al Senato repubblicano, poteva facilmente contravvenire alle regole più elementari dell'equità, a indubbio discapito dei più deboli, basta riportare, in grafia modernizzata, questa anonima relazione scritta nei primi mesi del 1575 e che si trova in appendice alla "Relatione fatta per Daniello e Giovan Battista Spinola" (conservata in Civica Biblioteca Berio, mr.I 34, cc.83v.- 84r.):
"La giustizia quale deve essere fatta dal Podestà e Giudice forestieri non più si fa se non con la volontà del Senato e molte mostruosità si sono viste, perché non potendo l'uno di coloro senza l'altro provvedere, s'è visto in tutti i casi ed eccessi "[che son]" stati commessi dai popolari esser stati diligentissimamente inquiriti e se le leggi non bastavano "[s'è visto]" di dar braccio forte al Giudice di eccederle e poi "[i popolani sono stati] "rigorosamente puniti e se qualcuno ne veniva giustificato e che "[qualora invece]" il Senato lo giudicasse colpevole volevano che il Podestà, contro le leggi e la sua coscienza, lo castigasse di quella pena che loro "[i Senatori]" deliberarono. Lo color Nobile, il quale è stato licenziosissimo, libidinosissimo, crudelissimo, non è mai stato castigato se non quanto la facoltà del Podestà s'estendeva. Se la pubblica voce e fama cagionava "[accusava] " qualcuno di libidine ed omicidio, se il Podestà non aveva prove chiare da poter far da lui" [abbisognando quindi del concorso senatoriale: cosa assai frequente] "dal Senato non veniva mai alcuna provigione "[provvedimento] "se alcuno si presentava alla giustizia e non avesse" [senza avere]" prove sufficienti per metterlo "[il nobile]" alla tortura e "[anche qualora] "richiedesse "[evidentemente con buone ragioni!] " il braccio forte gli era risposto che si doveva stare sopra alle leggi" [entro il rispetto delle leggi]".
Giusta animosità di protesta avverso la cattiva gestione della giustizia, civile ma soprattutto criminale, che più sinteticamente ma con non minor rabbia venne espressa da un altro anonimo autore in una petizione ai Supremi Sindicatori della Repubblica:
"Non posso se non rammaricarmi sommamente vedendo li doi collegij "(Camera e Senato)" far così poca stima di servire la legge et cure a loro imposte et ogni ora transgredirle, il medesimo di non avere la giustitia egualmente a tutti, in tener la bilancia diritta, gastigando alcuni, altri lasciando impuniti, per prieghi" [suppliche]" o per beneficij et commodi ricevuti "[a vantaggio dell'alta nobiltà]", altri "[popolani e subalterni]" condannando più di quello "[che]" dispongano gli Statuti" [ordinamenti criminali del 1556]".
Dopo la nuova Costituzione genovese del 1576 cambiarono le cose della giustizia: il nuovo testo proponeva separazione e indipendenza fra potere giurisdizionale penale e di governo. In linea di massima i nuovi principi rispondevano a questo succinto quadro riepilogativo che si rifà all'analisi sia degli STATUTI CRIMINALI DI GENOVA editi dal Bartoli nel 1590 che dei CRIMINALIUM IURIUM CIVITATIS GENUAE..., stampati a Genova nel 1616 per i tipi del Pavoni:
ROTA CRIMINALE - secondo i dettami della COSTITUZIONE DEL 1576
1- L'amministrazione della giustizia criminale risultava assegnata solo al giudice ordinario che si esprimeva, in ambito cittadino, sotto la forma della ROTA CRIMINALE (per vari aspetti destinata ad accentrare in sè la gestione dei procedimenti avverso la GRANDE CRIMINALITA' a scapito delle CURIE LOCALI).
La ROTA doveva esser composta da tre Giureconsulti esteri (Auditori criminali), senza parentela con cittadini genovesi, eletti dai Collegi (Camera e Senato) e dal Minor Consiglio all'interno di una lista su cui avrebbero preso informazioni due Governatori.
I GIUDICI ROTALI (secondo la nuova normativa) sarebbero rimasti in carica per un triennio e dei tre, uno a rotazione, avrebbe annualmente preso nome di Podestà (alla stessa stregua sarebbe poi stato eletto il Fiscale): la giurisdizione dei ROTALI si sarebbe quindi estesa sulla città e sulle tre Curiae di Val Bisagno, Val Polcevera e Voltri.
Nel restante Dominio l'amministrazione della giustizia sarebbe spettata ai Giusdicenti locali (leggi fatte l'anno 1576 - Parte II, art. 12) nel rispetto di STATUTI e LEGGI LOCALI, salvo l'obbligo di inviare alla ROTA di Genova tutte le cause comportanti pena di morte, mutilazioni od anche condanna temporanea all'incatenamento sulle galere.
2-ROTA e Giusdicenti avrebbero dovuto procedere sempre secondo la forma del diritto senza più poter ricorrere al rito straordinario o sommario ("Ibidem" - art. 13)
3- Gli organi amministrativi e di governo non avrebbero più avuta facoltà di interferire negli affari dei giudici e per evitare contenziosi possibili l'art. 14 di queste "Nuove Leggi" abrogava quelle vecchie disposizioni da cui era sempre derivata larga competenza al Governo e specialmente al Collegio dei Procuratori (queste potenzialità di interferenza, nonostante le raccomandazioni degli Statuti Criminali del 1556, erano indubbie ed in verità si era fatto avviso, inutilmente, contro le intromissioni governative in materia penale piuttosto entro le vecchie costituzioni del 1363 e del 1413 sotto la rubrica "De prohibita intromissione iustitiae").
4- Secondo il citato art. 14 delle "Leggi Nuove" del 1576, meglio noto dalle sue parole iniziali come Lex Curabit, era sancito, fra Senato e giudici, un rapporto esclusivamente amministrativo, connesso ad un controllo esterno dei Senatori sul corretto operare della magistratura (Ibidem, art. 14 - Declaratio).
5- Unica eccezione ai dettami dell'articolo 14 era data dall'art.44 della "Prima parte del testo costituzionale" : infatti, verificandosi delitti di Lesa Maestà, quelli cioè avverso lo Stato (per esempio sotto forma di attentati all'integrità dello stesso, di sommosse ed insurrezioni) i due Collegi governativi, riuniti, avrebbero dovuto convocare il Presidente e i due Uditori della Rota onde prendere dei provvedimenti comunque eccezionali : due Governatori avrebbero quindi potuto esser nominati per assistere in questi casi ai lavori dei giudici rotali.
6- Il capo della polizia o Bargello, secondo le Leggi del 1576, sarebbe poi stato nominato dalla Rota e non più dal governo: così pure gli alabardieri di scorta, i notai giudiziari, due denuntiatores nominati per parrocchia, col compito di avvisare la Rota dei delitti ivi perpetrati.
7- Le sentenze (trattate in particolare ai capi 16, 17 e 18 delle "Leggi Nuove") dovevano essere fatte da almeno due giudici, ed erano valide anche contraddicendole il Podestà. Erano inappellabili ma i condannati in contumacia entro due anni, costituendosi nel giro di dieci giorni, avevano facoltà di interporre appello. L'esecuzione delle pene capitali o corporali non doveva essere immediata ma sospesa per un certo periodo (tre giorni per la Città, 15 per il Dominio, 20 per la Corsica) onde favorire la presentazione di domande di Grazia (secondo il cap.45 delle "Leggi Nuove" le domande di Grazia si rivolgevano al Doge ed ai Collegi (Camera e Senato): si concedevano con due terzi dei voti essendo intercorsa pacificazione tra reo e parte lesa; pei crimini meno gravi erano approvate coi due terzi dei voti del "Minor Consiglio"; pei delitti di
"Lesa Maestà" occorreva invece l'unanimità dei voti di "Collegi [Camera e Senato] e Consiglietto" sempre che ciò avvenisse ex magna causa & ob bonum publicum).
8- Fra le altre novità delle "Leggi Nuove del 1576" merita d'essere menzionata l'istituzione dei Protettori dei poveri carcerati (cap.21), l'obbligo per due "Governatori" (o "Procuratori") di far visita alle carceri almeno con cadenza mensile (cap.22). Un certo peso hanno inoltre le abrogazioni di alcuni titoli degli Statuti Criminali che limitavano la libertà di matrimonio e l'immunità ecclesiastica (cap.23).
Il governo genovese, di fronte a tale innovazione costituzionale, intraprese "un lavorio continuo e pressante per arrivare a superare le disposizioni costituzionali, rimettendo in piedi il sistema penalistico ante quo". A riguardo di questo "lavorio", dapprima abbastanza delicato poi sempre più intenso, pare chiarificante la Relazione alla legge di riforma criminale approvata dal Maggior Consiglio il 27 novembre 1587 ove si legge:" Ognuno può manifestatamente conoscere che la giustizia criminale in questa città, almeno da alcuni anni in qua, è debilitata non poco, anzi se dir si può, lacerata grandemente; cosa degna più presto di commiserazione che di meraviglia poscia che le leggi ultimamente riformate (la Costituzione del 1576) abdicandovi ogni sopraintendenza da chi amministra la Repubblica e chi è membro suo, l'ha totalmente commessa in mano di tre Dottori che in essa non hanno alcuno interesse e verisimilmente non molto amore (in Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto - Propositionum, Mazzo q, n. 198).
Da questa sanzione derivò il testo qui integralmente riprodotto, già riduttivo,
di ALCUNE RIFORME O CAPITOLI CIRCA LA GIUSTIZIA CRIMINALE DI GENOVA (approvato il 30 giugno 1587 in "Minor Consiglio"> nuovamente discusso e revisionato fino alla definita approvazione del "Maggior Consiglio al settembre del 1587"> 42 art. per 10 pp., "Dal Palazzo Ducale à 27 di Novembre 1587/ Nella Cancelleria del N. Gio. Giacomo Merello Cancelliere e Segretario/ "[pubblicati e banditi a suono di tromba in Banchi di Genova] "da Gieronimo Bavastro cintraco publico" > in folio a stampa senza indicatori tipografici):
"Essendo la giustitia la vera base, e fondamento di tutti li stati, come che castiga i rei, salva i buoni, & conserva il suo ad ogn'uno; & vedendo il Serenissimo Sig. Duce, gli Eccellentissimi Gevernatori, & Illustrissimi Procuratori della nostra Repubblica, che essa giustitia almen criminale in questa città di Genova è da anni in quà molto debilitata, e sconquassata, e che perciò assai delitti se ne vanno quasi impuniti à gloria de tristi, e scelerati, & a danno e pregiuditio dell'universale; Et desiderando lor Signorie Serenissime di andarla fortificando in maniera, che un giorno consegua il vero, e la città insieme riceva quel frutto, che dalla buona amministratione della giustitia si deve aspettare, hanno per ora coll'intervento del minore, e maggior consiglio, e per li dovuti termini fatte le seguenti riforme, ò capitoli, e deliberato, statuito, & decretato in conformità di essi da durare per un saggio tre anni prossimi d'avvenire.
E prima che la giustitia criminale resti appoggiata alla Rota, come è al presente senza però pregiudicio d'ogni facoltà, & balia che per le leggi compete al Serenissimo Senato, & à gl'Illustrissimi Procuratori, & ad ambi li Serenissimi Collegi, & parimente senza derrogare à quell'auttorità che hanno li altri Magistrati della città".