Nato nel 540 c. da due membri della famiglia Anicia apparteneva al principale ceto romano, quello di rango senatorio. Dopo un ritiro monastico ricoprì alcune cariche pubbliche ed in seguito passò al servizio di papa Pelagio II come suo legato alla corte dell'Impero Orientale ove risiedette dal 579 al 585. Fatto papa dai Romani e dal clero nel 590, si impegnò per migliorare le condizioni del popolo stremato dalla fame e dalle pestilenze.
La trascuratezza di Bisanzio verso Roma e l'Italia lo indusse ad assumere, accanto al potere spirituale, anche quello civile. Contro il duca longobardo di Spoleto, Ariulfo difese nel 592 i territori pontifici e quindi corse in soccorso militare di Napoli aggredita dal duca longobardo di Benevento, Arechi. Quindi nel 593 ottenne che il re longobardo Agilulfo cessasse di minacciare Roma e si ritirasse in cambio del tributo annuo di 500 libbre d'oro.
La sua attività di pacificazione divenne intensissima e Gregorio riuscì ad ottenere un accordo col re longobardo Arechi: quindi nel 599 fece da mediatore, per ottenere una tregua biennale, tra Longobardi e Bizantini. Soprattutto svolse un ruolo importante a favore della regina Teodolinda per favorire la conversione dei Longobardi dal loro culto ariano al cattolicesimo romano.
Convinto assertore dell'indipendenza del Pontefice romano da ogni potere, laico od ecclesiastico, difese la fede in Gallia e nelle Spagne contro le intromissioni dei Visigoti, appoggiò il re cattolico Recaredo, soprattutto combattè Giovanni, patriarca di Costantinopoli, che, appoggiato dall'imperatore Maurizio, cercava di far riconoscere la sua autorità in Oriente. PapaGREGORIO MAGNO fu un eccellente sostenitore dell'apostolato ed in particolare di quello svolto dai BENEDETTINI: tra le sue personali aspirazioni primeggiava la lotta alla SUPERSTIZIONE che derivava da ritorni ancora frequenti del radicato paganesimo.
Nel Ponente ligure questo grande Pontefice si valse ad esempio della loro opera sia per SCONSACRARE siti di tradizione pagana, sia, a seconda delle necessità e/o delle possibilità per ASSIMILARE RESISTENTI CULTI DELLA TRADIZIONE PAGANA nella ciclicità cultuale cristiano cattolica: e tutto ciò non solo ragioni meramente spirituali ma altresì per favorire la rinascita dell' agricoltura in terre non solo disastrate da tante guerre ma vincolate da qualche sorta di tabù religioso pagano come nel caso di SORGENTI OD ACQUE SACRE ALLE DEE MADRI O ALLE FATE od ancora di LUCI o "BOSCHI SACRI".
Per correttezza documentaria occorre comunque anche rammentare che -contro le direttive di Gregorio Magno- il processo di RICONSACRAZIONE non restò esente da danneggiamenti del patrimonio della classicità: a volte ci si limitava ad INCIDERE SEGNI DI CROCE su siti ritenuti di forte valenza pagana, in altre circostanze il SEGNO CRUCIFORME valeva per distruggere REPERTI E/O SCRITTE non comprese della civiltà pagana, in altri casi ancora si procedeva ad una DISTRUZIONE PIU' METODICA ED ICONOCLASTICA) Questa "tecnica apostolica" di ROVESCIAMENTO CULTUALE di una tradizione spirituale PAGANO/IDOLATRICA entro i termini del BENE CATTOLICO-CRISTIANO (per via di sconsacrazione, di riconsacrazione o di demonizzazione> poco noto ma importante il caso di MITRA da DIVINITA' PAGANA BUONA in DEMONE della spiritualità cristiana) non era estranea neppure alle procedure della MAGIA NERA e di quell'antireligione o religione alla rovescia che fu giudicata la STREGONERIA: nel suo contesto gli OGGETTI DELLA QUOTIDIANITA' FEMMINILE assumevano per ROVESCIAMENTO valenze opposte a quelle istituzionali> la SCOPA cessava di essere lo STRUMENTO BUONO PER RASSETTARE LA CASA (E QUINDI SIMBOLO DEL "RASSETTARE LA FAMIGLIA", CONFERENDOLE "ORDINE MORALE") per diventare lo strumento-simbolo della VIOLAZIONE DEL COMPITO STORICO-ISTITUZIONALE DELLA DONNA ALL'ORDINATA SEDENTARIETA' NELLA GESTIONE DELLA CASA E DEI SUOI VALORI e, caso limite della provocazione, MEZZO DI FUGA DALL'ORDINE VERSO LE FRONTIERE DEL PROIBITO che in ambito MAGICO-STREGONESCO diventavano il SABBA cui si giungeva con il mezzo proibito rappresentato dal VOLO MAGICO una delle accuse che costò la vita a PEIRINETTA RAIBAUDO di Castellaro il Vecchio borgo alle spalle di MENTONE.
Gregorio riordinò l'amministrazione del patrimonio di S.Pietro attribuendo a sé la nomina dei rettori che volle membri del clero protetti dalla giustizia. Diede istitusione al canto liturgico romano da lui nominato poi gregoriano e redasse un Epistolario dove delineava i doveri dell'apostolato: oltre a ciò fu autore di Homiliae quadraginta in Evangelia (593) i 35 Libri Moralium (595) ed ancora 4 libri di Dialoghi.
A proposito del modo di affrontare e vincere i rigurgigiti della superstizione giunge emblematico il seguente stralcio di una lettera che Gregorio Magno scrisse all'abate Mellito:
"I templi pagani non devono affatto esser distrutti, ma siano distrutti gli idoli che sono in essi. Si usi acqua benedetta, si asperga su questi templi, si costruiscano altari, vi si collochino delle reliquie, perché, se i templi sono ben costruiti è bene che dal culto dei demoni passino all' ossequio del vero Dio affinché la gente, vedendo che i suoi templi non vengono distrutti, deponga l'errore e corra a conoscere e ad adorare il vero Dio in luoghi a lei familiari.
E poiché si usava sacrificare molti buoi ai demoni, bisogna conservare, anche se mutata, anche quest'abitudine, fa cendo un convivio, un banchetto su tavole con rami d'albero poste intorno alle chiese che prima erano templi, il giorno della dedicazione della chiesa stessa, o della festa dei santi martiri le cui reliquie sono state poste nei tabernacoli.
Non siano più immolati animali al diavolo, ma si uccidano e ci si cibi di essi a lode di Dio, rendendo cosi grazie a colui che tutto ci ha donato, mentre i godimenti materiali si mutano in godimenti spirituali.
Infatti e senz'altro difficile togliere subito tutto a coloro che hanno una mentalità rigida, poiché coloro che salendo una vetta si perfezionano passo a passo non sanno innalzarsi facendo dei salti".
[testo tratto Gregorii I Papae, Registrum epistolarum, XI, 56, edd. P. Ewald - L.M. Hartmann, II, Berolini (berlino), 1899, p. 311 (M.G.H., Epistolae, II)]