Libro d'oro della nobiltà di Genova , in latino
"Liber nobilitatis / serenissimae Reip. Genuensis / ad exemplar exactus, / quod in regio palatio / diligentissime adservatur / ab anno 1576 ad annum 1757 / additis cuiusque familiae / stemmatibus gentilitiis. / Tomus primus.:
Cart.; sec. XVIII fine; mm. 350 x 245; cc. 18 n. num. + 285 num. orig. per pp. 560 essendo contate p. 81 tre volte, p. 100 quattro volte, p. 101 due volte e omessa c. finale bianca.
C. 2 r., front. recante il titolo entro cornice ad acquarello, c. 3 r., stemma di Genova; c. 4 r., riproduz. del grifo con noto motto; c. 5 r., stemma della Corsica sormontato da corona reale .
Bianche le cc. 115, 190, 243:
Stemmi acquarellati per ogni famiglia.
Leg. del sec. XVIII in marocchino rosso; cornice dorata a doppio filetto e fregi sui piatti; dorso a sette nervi con decorazioni dorate a piccoli ferri; tagli dorati. Esemplare appartenuto ai marchesi di Salsa, eredi dell'abate C.G.V. Berio e poi a un membro dei Visconti di Dudley e Ward.
All'interno del piatto ant. 1° ex- libris dei marchesi di Salsa; 2° ex-libris dei visconti di Dudley e Ward; 3° ex- libris di Giuseppe Buscaglia.
Acq. G. Buscaglia, 20 / 7 / 1982
Bibliografia: lo stemma dei Fieschi ( p. 368) è stato pubblicato in: Lorenzo Tacchella, Garbagna nella storia del dominio temporale dei vescovi di Tortona e dei Feudi Imperiali Liguri. Verona, Editrice Grafiche P2 s.n.c., 1988".
Il “Liber Nobilitatis” della nobiltà Genovese ha inizio come libro "civitas" nel 1056. In tale periodo Genova è retta da un governo Repubblicano con i suoi Consoli, con due gruppi di famiglie che cercano di primeggiare: le “Viscontili” cioè quelle investite di dignità e feudi dalla Chiesa e le “feudali” cioè quelle che discendevano oneri e privilegi dall’Impero.
Nel 1190 finito il Governo Consolare fu stabilita che la suprema autorità doveva essere scelta in un “forestiero” coadiuvato da un consiglio di otto anziani. "Alla fine del 1528, dopo aver scacciato da Genova i francesi di Francesco I grazie ad una alleanza con l'imperatore Carlo V, Andrea Doria incaricò 12 riformatori di mettere in atto una riforma del governo della Repubblica di Genova (vedi). Furono innanzitutto apportate alcune modifiche al sistema degli Alberghi, le associazioni di famiglie cittadine, alzandone il numero a 28 andando ad aggiungere alle 23 della nobiltà feudale (la nobiltà vecchia, solita radunarsi a San Luca) 5 casate di origine popolare (Giustiniani, Promontori, Sauli, Defranchi e Fornari, che erano soliti radunarsi vicino a San Pietro in Banchi e per questo chiamati nobiltà nuova o di San Pietro). I nomi degli appartenenti a questi Alberghi erano iscritti al Liber Nobilitatis Genuensis e tra di loro erano scelti i rappresentanti del governo della repubblica.
Questi otto furono detti “nobili” e le loro famiglie cominciarono così a distinguersi dalle altre dette “popolari”. Qui comincia la divisione in ceti e la costituzione della classe dei “nobili”, cioè coloro che partecipavano al “governo”.
Tale sistema durò fino al 1257, anno in cui fu modificato con la creazione dei “capitani del popolo”, finchè nel 1339 venne abolito il sistema del potestà forestiero e si passò all’elezione a vita di un doge genovese.
Con il periodo podestarile si ha l’inizio della divisione a Genova delle fazioni dei guelfi e ghibellini. I guelfi avevano come capi i Fieschi e i Grimaldi. I ghibellini i Doria e gli Spinola.
Dopo varie lotte per la supremazie, nel 1339 ebbero la meglio i ghibellini che abolirono i potestà e proclamarono Simone Boccanegra, primo doge, “Signore della Repubblica e difensore del popolo”.
Dal governo furono escluse le famiglie guelfe praticamente fino al 1528.
Nel 1339 nacque quindi una nuova categoria di nobili, cioè quelli che partecipando al consiglio del Doge presero parte al Governo dello Stato. Questi nobili furono detti “popolari”. La distinzione “popolare” era tale solo per distinguerli da quelli fino al 1257. Coloro che avevano cariche di governo furono detti “popolari egregi”. I capi popolari furono gli Adorno, i Fregoso, i guachi e i Monaldo.
I popolari si distinsero a loro volta in “Artifices” che esercitavano le Arti e “Mercatores” coloro che vivevano senza esercitare le arti.
I Mercatores ebbero le cariche principali, gli Artifices ne erano costantemente esclusi.
Nel governo popolare ghibellino i Mercatores tennero il potere dal 1339 al 1506, gli Artifices dal 1506 al 1507.
Dal punto di vista formale, dall'inizio del regime comunale in poi, i detentori del potere vengono appellati “Cives”. I primi annalisti usano, infatti, il termine “nobilis” dapprima quale aggettivo di “civis” e poi quale sostantivo.
I “popolari” come i Giustiniani, i Sauli, i Fregoso o gli Adorno, anche se conti palatini, milites, signori feudali o dogi, sono “cives”, qualificati negli atti genovesi come egregii, domini, illustri, spettabili, magnifici, a seconda della posizione sociale o della carica esercitata, ma mai come “nobilies” fino alla riforma del 1528.
Abbiamo quindi varie distinzioni della nobiltà Genovese fino al 1528:
Nobili viscontili e feudali detti “Nobiles Albi”,
Nobili civili detti “Nobiles nigri”,
Popolari mercanti e popolari artefici divisi in Mercatores et Artifices. Albi parteggianti per gli Adorno e Mercatores et Populares nigri parteggianti per i Fregoso.
Ricordiamo inoltre che sin dal 1383 a Genova si costituirono i cosiddetti “alberghi”, delle consorterie che riunivano varie famiglie mediante l’assunzione di un unico cognome in genere quello della famiglia più potente.
L’istituto degli alberghi fu ripreso nella costituzione del 1528.
Nel 1527 i Francesi più volte chiamati e cacciati erano i veri padroni della Repubblica in preda alla più completa anarchia.
Dall’esigenza di unificare questi gruppi nobili in un solo corpo organico ("ordo unicum") fu creato il “Liber Nobilitatis Genuensis” con la formazione della nobiltà patriziale nel 1528.
A compiere questa opera di riunificazione fu Andrea D’Oria, già ammiraglio della flotta di Carlo V dotato di grande capacità militare e politica.
Si accordò con Cesare Fregoso e il 22 agosto 1527 espulse gli Adorno da Genova in nome del Re di Francia ed eletti due “riformatori” con pieni poteri per potere riformare tute le leggi che ritenessero opportuno.
Il 2 aprile 1528 sui propoposta di Agostino Pallavicino i riformatori decretarono che: “salva sempre l’autorità del cristianesimo Re si abolisca e sia eletto ogni colore dei nobili come popolari, di guelfi e ghibellini e di caduna altra specie e divisione, e che si faccia e stabilisca uno Corpo di una civiltà qual sia ad unum velle et unum nolle, sotto quelli modi forme e nome quali parranno a quelle persone cui ne sarà data cura; di fare e stabilire questo effetto si dia a quelle persone e a quello numero di cittadini, quali possino parere et occorrere all’illustre Signor Governatore e Magnifici anziani con quelle facoltà, autorità e balia, quali mai ad alcun altro sia stata data per agire e comparire innanzia al Magnifico Ufficio di San Giorgio et potere impugnare et obbligare ogni pegno del Comune si in genere come in specie et ulterius per obviare che il pericoli et mali ect.”.
Per iniziare la riforma il D’Oria volle che la Repubblica fosse indipendente ed il 12 settembre 1528 vennero espulsi i francesi. Rifiutata la corona di Genova la costituzione della Repubblica di Genova fu promulgata l’11 ottobre 1528 Tra i dodici riformatores Thomas Giustiniani.
Approfondendo nei contenuti del libro, che risultava distrutto nei suoi originali e conservato solo in copie da privati vediamo che i primi iscritti sono preceduti dalla lettera "q" (cioè "quondam" - morto), ovvero lo scrivano sapeva che queste persone nel 1528 erano già morte, ne deriva che il libro era stato composto molti anni dopo il 1528 con efficacia retroattiva.
Le famiglie che in base alla nuova costituzione ebbero la facoltà di formare un albergo furono 28 di cui 23 nobili e 5 popolari (Giustiniani, Sauli, Promontorio, De Fornari, De Francisci).
Escluse furono le famiglie Adorno e Fregoso di cui si volle cancellare ogni memoria.
I cognomi presenti nel libro sono più di 600. Questo era dovuto all'iscrizioni delle famiglie in albelghi che come detto erano aggregati di più persone con cognomi diversi e per evitare omonimie i nobili venivano trascritti anche con il cognome di origine, anche perchè nonostante la legge i vecchi cognomi non vennero mai seriamente abbandonati.
Gli ascritti (vivi e morti) sono indicati con la sola paternità solo quando si tratta di titolare dell'albergo, mentre è indicato il cognome di origine quando si tratta di aggregati.
Le 28 famiglie nobili del Libro d’oro della nobiltà genovese:
Calvi
Cattaneo
Centurione
Cibo
Cicala
D’Oria
Fieschi
Fornari
De Franchi
Gentile
Giustiniani
Grillo
Grimaldi
Imperiale
Interiano
Lercari
Lomellini
De Marini
Di Negro
Negrone
Pallavicino
Pinelli
Promontorio
Salvago
Sauli
Spinola
Usodimare
Vivaldi
Molte delle famiglie aggregate dovettero abbandonare cognome ed insegne, anche se più antiche e nobili del cognome dell’albergo aggregante. Ciò veniva dalla disposizione della Costituzione che dava la facoltà di formare Albergo solo alle stirpi che avevano almeno sei case aperte a Genova.
La deliberazione del 28 novembre 1538 disponeva che i nobili dovessero presentare i propri figli, al compimento del 18esimo anno, dinnanzi al Doge e ai Governatori, per l’iscrizione secondo Legge e si disponeva che ogni due anni i Governatori dovessero rivedere la lista di tutti i giovani che fossero per compiere i diciotto anni per iscriverli nell’albergo rispettivo.
Nonostante l’enorme sforzo riformatore del D’Oria continuarono le dispute tra nobili antichi e popolari, guelfi (facenti capo alla famiglia Fieschi) e ghibellini (facenti capo alla famiglia Spinola).
Soprattutto i ghibellini erano gli acerrimi nemici del D’Oria di famiglia ghibellina, ma che aveva preso il potere con l’aiuto dei Fregoso, dei Fieschi e della nobiltà popolare.
La costituzione aveva quindi messo insieme i nobili vecchi (o di San Luca) con i nuovi (o di San Pietro). Le dispute portarono alla celebre congiura fallita di Gian Luigi Fieschi del 2 gennaio 1547 contro Andrea D’Oria che allora reggeva le sorti della Repubblica.
Una commissione di otto cittadini fu incaricato di rivedere la costituzione per una più equa distribuzione fra le due nobiltà delle cariche e degli uffici del Governo. Si arrivò alla “Legge del Garibetto” ed all’elezione per voto invece del ballottaggio a sorte.
La legge sancì definitivamente la denominazione tra Nobili vecchi o di San Luca ed i nuovi o di San Pietro. Con questo nuovo provvedimento furono svantaggiati i nobili nuovi più numerosi ma in minoranza nel governo.
Alla morte del D’Oria seguirono numerosi disordini civili. Un arbitrato (“Leggi di Casale”) commissionato al Re di Spagna Filippo II, formarono un nuovo complesso di Legge approvato da entrambi le fazioni nel 1576 che sanciva la nascita della seconda Repubblica Genovese che perdurò fino alle conquiste Napoleoniche del 1797 che ne sancì la definitiva fine.
Le “Leges Novae”, pubblicate a Genova il 17 marzo 1576, non introducono novità in ordine alle titolature spettanti ai nobili governanti che continuano a essere appellati “cives nobiles”.
Il testo originale della “Legge del Casale” è ancora oggi conservato a Genova nell’archivio comunale.
In sostanza le Leggi in riferimento alla nobiltà si sintetizzano:
La Legge del Garibetto è revocata. La distinzione tra nobili vecchi o di San Luca o nuovi di San Pietro è abolita;
Tutti i cittadini iscritti nel Libro della Nobiltà sono pari tra loro e costituiscono un unico ordine di nobiltà
Tutti gli aggregati agli alberghi riprendono il proprio cognome e stemma come avanti al 1528 salva la facoltà di tenere il nome e lo stemma dell’albergo per chi lo desideri con il bene placito della famiglia aggregante;
Al potere legislativo dei consigli si affianca quello, eletti a sorte 5 membri, di preparare le liste del corpo della nobiltà, ossia degli eleggibili al governo. Questi cinque accolgono le istanza di chi aspirà alla nobiltà o vanti diritto di appartenervi. Per l’iscrizione alla nobiltà si richiedono almeno i due terzi dei voti dei due collegi e del Minor Consiglio.
L’iscrizione è da farsi su istanza degli interessati, entro sei mesi per gli abitanti di Genova e dodici mesi dalla promulgazione delle Legge dagli assenti.
La Signoria con i due Collegi e il Minor consiglio entro il 15 gennaio di ogni anno stabiliranno quali cittadini debbano essere iscritti alla Nobiltà nel corso dell’anno, in numero di sette per la città e tre per le riviere. Nominati questi nuovi dieci membri si procederà ad eleggere i cinque per la commissione della nobiltà;
I requisiti richiesti per l’ammissione alla nobiltà sono:
- essere nato da legittimo matrimonio
- godere di buona reputazione
- non esercitare da almeno tre anni nessuna arte meccanica
- non aver commesso nessun infamante reato
- provare l’antica abitazione della stirpe nello stato
- vivere del proprio
- vivere con onestà di costumi
se il cittadino esercita un' arte non consentita dovrà abbandonarla entro due anni dall’iscrizione sotto la pena di perdere la qualità di nobile
sono stabilite diverse procedure per le iscrizioni ex novo e per i membri di famiglie già iscritte. Gli ascirtti potranno essere ammessi al Maggior Consiglio dopo quattro anni, al Minor Consiglio e al Magistrato dopo sei, al Senato, al collegio dei procuratori dopo dieci, al dogato dopo quindici.
L’amministrazione della Repubblica è affidata a quei cittadini iscritti nel “Liber Nobilitatis” e quindi la custodia e l’amministrazione di questo libro saranno tenuti nella massima considerazione.
Di tale libro saranno tenuti due esemplari originali. Uno presso il Doge in carcia e l’altro presso i procuratori. Ogni variazione sarà effettuata su tutti e due i libri.
Queste in sostanza sono le Leggi del Casale che senza troppe modifiche restauro in vigore fino alla fine della Repubblica Genovese nel 1797, quando Il libro d'oro verrà bruciato in piazza Acquverde il 14 giugno per ordine del governo provvisorio, lo stesso che ordinò di scalpellare o almeno coprire tutti gli stemmi delle famiglie nobili persino nelle Chiese.
Come riportato, i libri originali, vennero distrutti, ma esiste copia del censimento dei vivi e dei morti dei vari alberghi di alcune famiglie: Lomellina, Giustiniana, Franca, Promontoria, Fornaria, Saula e Cibo (archivio segreto dell'archivio di Stato, busta n. 525 nobiltà).
Questo censimento arriva fino al 1554. Poi anche per queste famiglie resta il vuoto tra il 1554 ed il 1562.
E' apparso anche evidente, analizzando le copie, che il liber nobilitatis all'inizio era stato compilato in modo molto casalingo, anche perchè una parte dei primi nomi dovevano derivare dall'iscrizione nei libri precedenti in quanto sono privi dell'indicazione della paternità ne della data di iscrizione. Non parliamo poi di tutte le altre indicazioni divenute obbligatorie dalla metà del 1600.
Un altra difficoltà è anche che stessi cognomi sono aggregati in alberghi diversi.
Ricordiamo comunque che nella Repubblica di Genova i nobili doveva essere circa 2.000 persone, ovvero nei piccoli centri o anche in città dovevano conoscersi alla perfezione, questo spiegherebbe perchè all'inizio non vi sia stato ritenuto necessario mettere tante precisazioni nelle trascrizioni.
Teniamo inoltre conto che il liber nobilitatis del 1528 comprende anche tutti i nomi contenuti nei libri “civilitatis” precedenti, i cui nomi sono raggruppati non più per albergo ma per famiglia d’origine.
La stesura definitiva del libro e della sua rilegatura venne di fatto terminata nel 1603, ma nel frattempo deve esser stata scoperta qualche froda genealogica, perché nel 1606 ci fu una revisione degli iscritti, con particolare riguardo ad eventuali casi di asserite discendenze da antenati morti in realtà senza prole.
Il libro definitivo viene approvato dal Doge e dai Governatori il 28 dicembre 1621. Il censimento dal 1606 al 1621 è contenuta nella famosa busta 525 dell’archivio segreto di Stato.
Complessivamente dalla Legge del 1528 che aboliva gli alberghi sono passati 45 anni fino alla stesura definitiva: 14 per approvare la legge di attuazione, 13 per l’esecuzione e 18 per il controllo.
La scomparsa e/o distruzione dei precedenti Liber civilitatis, fa venire il dubbio se sia stata effettuata insieme al Liber Nobilitatis dai Francesi o per il desiderio di evitare i controlli.
Dal 1606 in avanti, comunque le Leggi affinano il modo di iscrizione, prescrivendo che venga iscritto anche l’anno di nascita il nome del padre e dell’avo, la data ed il luogo di battesimo e infine le modalità di iscrizione perché figlio di patrizio o di nuova trascrizione.
Le copie originali erano tre, conservate in tre posti diversi. In piazza Acquaverde furono bruciate tutte le copie e rimasero ai posteri solo copie non autenticate fatte compilare da privati per loro uso e consumo.
Ovviamente viste le diverse date di compilazione ci potranno essere qualche inesattezza o incompletezza nelle varie copie a seconda anche dell’anno di compilazione.
Le copie pervenute sono diverse, attualmente ne risultano esistere:
3 copie nell’archivio del comune di Genova
2 copie all’archivio di Stato a Roma
4 copie nella Biblioteca civica di Berio
1 copia nella biblioteca Universitaria di Genova
2 copie nell’archivio di Stato di Torino
diverse altre negli archivi privati di famiglie nobili e biblioteche
Ricordiamo anche una copia pubblicata dall’Istituto di Studi Araldici Guelfo Camaiani, reperibile anche presso la Biblioteca Casanatense di Roma
L’ascrizione di un individuo al Libro d'oro della nobiltà dell’antica Repubblica di Genova, con il quale allo stesso competeva il titoli di “magnifico”, costituiva il riconoscimento che la famiglia dell’ascritto aveva raggiunto ceto sociale, potere politico, censo e patrimonio, tali da sancirne l’appartenenza al Patriziato genovese, uno vero detentore dello stato e del governo della cosa pubblica.
In alternativa al titolo di “magnifico” venivano usati quelli di “eccellentissimo” e “illustrissimo” D., o D.D., riservati di preferenza ai membri di governo, o i ministri di stato, ed insigniti di degnità senatoria.
A nobili delle città rivierasche, delle terre di dominio e dell’isola di Corsica ed a quanti per i servizi prestati alla Repubblica si fossero resi in qualche modo meritevoli di benemerenze particolari, ma non tali da giustificare l’ascrizione al Patriziato, erano concessi in ricompensa dei privilegi onorifici, di varia natura e grado, che andavano dal patriziato personale non ereditario, al privilegio di restare a capo coperto (tecto capite) e, se del caso, di rimanere persino seduti dinnanzi alle massime magistrature della Serenissima Repubblica, alla semplice concessione della cittadinanza onoraria.
Spesso queste concessioni erano la prima tappa per il successivo ottenimento dell’ascrizione al Libro d’Oro della Nobiltà Genovese.
Diversi furono pure i privilegi ottenuti dai Genovesi dai Sultani del Levante e le capitolazioni stese cogli stessi dalla diplomazia della Repubblica.
Curiosa la succesiva vicenda per il riconoscimento dei titoli nobiliari Genovesi da parte del Regno Sabaudo e poi dal Regno d’Italia. Nel 1815 la Repubblica di Genova passa con il titolo di Ducato alla corona sabauda. Lo stesso anno Vittorio Emanuele I parifica la nobiltà genovese a quella sarda nell’ammissione agli uffici pubblici, alle grandi cariche e agli impieghi di corte. Il problema relativo al titolo specifico da attribuire a questa nobiltà, già compartecipe della sovranità della Repubblica aristocratica e, dunque, profondamente diversa dalla nobiltà vassalla del resto del Regno, non viene risolto ma affrontato caso per caso.
Accade, così, che non pochi nobili genovesi si vedano attribuire in Regie Provvisioni (“de facto”) il titolo di Marchese, mentre coloro che si rivolgono allo Stato per chiedere il riconoscimento (“de jure”) del titolo marchionale derivante dall’ascrizione al “Liber Nobilitatis” riportino un reciso diniego. Un eventuale riconoscimento del titolo marchionale viene, infatti, subordinato ad alcune condizioni purtroppo non verificate: il governo di S.M. succeduto a quello repubblicano non può riconoscere alla nobiltà genovese altri titoli che quelli già ammessi dal precedente governo, ma questo non consentiva alcuna denominazione di dignità feudale e distingueva ab antiquo con il solo titolo di “Nobilis januensis” chi partecipava alla cosa pubblica.
[Parte di questo capitolo è stato tratto dal lavoro di Massimo Angelini: La cultura genealogica in area ligure nel XVIII secolo - introduzione ai repertori della famiglie, pubblicata negli “Atti della Società ligure di Storia Patria”, n.s. XXXV (1995), I, pp. 189-212]
Il Maggior e il Minor Consiglio
Tra tutti gli iscritti al libro della nobiltà erano estratti a sorte i 400 membri che andavano a formare il Maggior (o Gran) Consiglio della Repubblica, che si riuniva nella sala principale del Palazzo Ducale.
Tra i membri del Maggior Consiglio erano estratti nuovamente a sorte i 100 rappresentanti del Minor Consiglio. Nel palazzo pubblico esso disponeva di due sale, una detta "consiglietto d'estate" esposta a nord e utilizzata durante i mesi più caldi e una detta "consiglietto d'inverno" che grazie all'esposizione a sud godeva di una migliore temperatura nei mesi invernali.
I membri di entrambi i Consigli restavano in carica un anno.
Tramite un complesso sistema di nomine e di estrazioni a sorte per mezzo di bussolotti era quindi scelta una ristretta rosa di candidati, tra i quali i membri del Maggior Consiglio sceglievano per votazione chi sarebbe diventato il nuovo doge.
Il doge, in carica per due anni, presiedeva un consiglio di otto senatori, con potere legislativo. Ad esso era affiancato un secondo consiglio di otto procuratori, con competenze finanziarie. Insieme ad essi era poi costituito il Magistrato dei Supremi Sindacatori, che aveva il compito di verificare che il doge, i membri dei consigli e gli altri ufficiali della Repubblica rispettassero le leggi.
Nel 1547, in seguito alla congiura dei Fieschi, Andrea Doria promulgò la cosiddetta riforma del Garibetto (ad indicare che era una riforma fatta "con garbo", che modificava solo in parte quella precedente) con cui veniva limitato il potere dei nuovi nobili di origine popolare a vantaggio della vecchia nobiltà aristocratica.
In base ad essa 300 membri del Maggior Consiglio erano estratti a sorte tra gli iscritti all'albo della nobiltà e gli altri 100 erano eletti per votazione, mentre tutti i 100 membri del Minor Consiglio dovevano essere eletti per votazione tra coloro che erano stati eletti nel Maggior Consiglio.
Una nuova modifica ai criteri di elezione dei due Consigli e delle alte cariche politiche si ebbe nel 1576 con le leggi di Casale o leges novae: da quel momento i membri del Maggior e del Minor Consiglio dovevano essere scelti da una commissione di trenta persone eletta dal Minor Consiglio uscente, mentre gli otto senatori e procuratori erano da estrarsi a sorte da una lista di 120 nominativi.
Questo sistema di elezione fu mantenuto con poche variazioni fino all'arrivo di Napoleone nel 1797 e quindi all'avvento della Repubblica Ligure [ testo con integrazioni multimediali da Wikipedia - enciclopedia on line = per approfondimenti bibliografici vedi dalla "Storia d'Italia", (volume IX) l'opera di C. Costantini, La Repubblica di Genova nell'età moderna, UTET, Torino, 1978]